Educazione affettiva: Facoltà teologica Triveneto, “cura della relazione come antidoto alla violenza di genere”

Stare nella relazione, superare le false divisioni del mondo in maschile/femminile, arginare la deriva della violenza con una cultura del “noi” rispettosa delle differenze e libera dai patriarcati; stringere un patto educativo in cui genitori, insegnanti, educatori sappiano farsi testimoni di relazioni sane; educare alla gestione dei conflitti. Sono i principali stimoli emersi dal pomeriggio di studio “Educazione affettiva e prevenzione della violenza di genere”, promosso il 19 dicembre a Padova dalla Facoltà teologica del Triveneto. Lo riferisce oggi un comunicato, specificando che si tratta di “un primo passo per ricercare alcune coordinate utili a contrastare il fenomeno dei femminicidi; un lavoro che proseguirà nel prossimo anno accademico con un corso sullo stesso tema, già in cantiere nel ciclo di licenza”.
“Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha scalzato il dispositivo giudicante e rassicurante con cui solitamente ci difendiamo in queste situazioni: non ci sono ‘colpe’ imputabili alla donna”, ha messo in evidenza Lucia Vantini, teologa e filosofa, docente all’Istituto superiore di Scienze religiose di Verona. “Tutte le donne violentate e uccise sono per noi un elemento di provocazione – ha proseguito –. Chiedono di non idealizzare le relazioni, chiedono una cultura della maschilità differente e di coinvolgere gli uomini in questo lavoro, per una nuova alleanza fra i sessi”. La violenza di genere è trasversale, senza differenze di classe sociale, religione, etnia, età e ha declinazioni molto differenti. “Se non è corretto parlare di ’cause’ della violenza, negli ultimi anni gli psicologi hanno però iniziato a spiegarsi il sorgere e il mantenersi di relazioni violente come conseguenza di atteggiamenti che possono essere ricondotti alla condizione di dipendenza affettiva patologica” ha spiegato Michela Simonetto, psicologa, con laurea magistrale in Scienze religiose all’Istituto superiore di Scienze religiose di Padova. Occorre però distinguere conflitto da violenza: “La violenza è l’incapacità di stare nel conflitto e di sperimentarlo come elemento che fonda la relazione – ha affermato Davide Lago, pedagogista e docente all’Istituto superiore di Scienze religiose di Vicenza, citando Daniele Novara –. È quindi la relazione e non la bontà, come nel senso comune si è spesso portati a credere, la misura discriminante tra confitto e violenza. La fatica del conflitto – ha conclusi Lago – è una condizione imprescindibile per mantenere buone relazioni ed è quindi fondamentale educare alla gestione dei conflitti, imparare ad accettarli e abitarli senza che questi sconfinino nel desiderio di annientamento dell’altro”.

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