L’immagine di Daniele deportato a Babilonia come chiave per comprendere il tempo presente. A proporla è stato il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, che ieri ha celebrato la messa al convegno internazionale dei Commissari di Terra Santa che si chiude oggi a Gerusalemme. Il brano di Daniele, ha spiegato il patriarca nell’omelia, pervenuta al Sir, “ci conduce in un momento oscuro della storia di Israele: la deportazione a Babilonia, la perdita dei punti di riferimento, l’assimilazione culturale forzata. Un popolo sradicato dalla propria Terra. Questo ci tocca particolarmente mentre pensiamo ai tanti cristiani di questa regione che ancora oggi vivono fragilità, pressioni, talvolta marginalizzazione. Se osserviamo ciò che accade da troppo tempo in Terra Santa – ha annotato il cardinale – vediamo che, in fondo, nulla è davvero nuovo. Cambiano le forme, ma le dinamiche sono simili a quelle narrate nei testi biblici”. Daniele così non si lascia plasmare dalla cultura dominante, ma “decide nel suo cuore” di rimanere fedele alla propria identità. Questo, per Pizzaballa, è il punto “decisivo”: “la fedeltà nasce nel cuore, non nelle battaglie esteriori. È un atto silenzioso, non ostentato, ma radicale. Non si tratta di opporsi al mondo, ma di rimanere se stessi in ogni contesto. Daniele non fa polemiche, non si isola: dialoga, propone alternative, esercita un discernimento sapiente. Ed è proprio questa fedeltà dialogante che Dio benedice con una sapienza straordinaria”. E uno degli aspetti del conflitto, ha spiegato il patriarca, “riguarda proprio la relazione tra le diverse identità, storie e appartenenze che compongono la Terra Santa, che è ebraica, islamica e cristiana insieme”. Senza ciascuna di queste presenze, ha avvertito il cardinale, “la Terra Santa e Gerusalemme non sarebbero complete”. Da qui deriva “l’opera fondamentale della Custodia che, grazie alla sua presenza secolare, preserva la memoria della presenza cristiana in Terra Santa, la sua cultura, mostrando come essa abbia radici profonde in questa Terra e abbia contribuito enormemente alla crescita di queste società. E dobbiamo continuare a farlo”. Poi un monito: evitare “il rischio di chiuderci nelle nostre torri, di fuggire la complessità e la fatica dell’incontro in questa terra ferita e lacerata. Ma, come Daniele appunto, siamo chiamati a rimanere noi stessi, rimanere capaci di dialogare, proporre alternative, aprire strade nuove, fedeli alla storia che ci ha sempre contraddistinto. In passato abbiamo aperto strade fondando scuole e ospedali; oggi dobbiamo farlo aprendo cuori e sguardi liberi, creando contesti di fiducia. Essere commissari significa non lasciarsi assimilare dalla logica del mondo, ma portare nel mondo la logica del Vangelo e della Custodia: quella della memoria, dell’incarnazione, della prossimità concreta alle comunità cristiane di questa Terra. Daniele – ha concluso Pizzaballa – non difende una tradizione morta: custodisce un’identità viva. Così anche voi: custodite la ‘terra del cuore’ del cristianesimo”.