“Ho accompagnato molti malati terminali, anche persone molto sole: non c’è mai stato momento in cui non desiderassero che qualcuno fosse accanto, anche solo in silenzio, a stringere una mano”. Lo ha detto mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, in un’intervista pubblicata ieri dall’Unione Sarda sul tema del suicidio assistito. “La vita è intoccabile anche nella malattia”, ha affermato, spiegando che “il dolore fisico oggi si può quasi sempre lenire, ma c’è un dolore forte che non nasce dalla malattia o dai sintomi, ma dalla solitudine”. Per mons. Baturi, “un malato terminale non è un morente, ma una persona viva con bisogni spirituali e relazionali”. Rispondendo su come evitare l’accanimento terapeutico, ha precisato: “Occorre distinguere l’accompagnamento fino alla fine dall’accanimento, che consiste nell’imporre cure sproporzionate o futili. Si può e si deve dire basta quando non c’è più proporzione tra il trattamento e i benefici reali, ma senza togliere l’essenziale per vivere con dignità quel momento”. Il segretario Cei ha evidenziato la necessità di “garantire un’assistenza adeguata ai malati terminali e cure palliative effettive su tutto il territorio nazionale”, evitando disparità tra regioni. Riguardo l’attuale dibattito parlamentare, ha osservato: “Serve un punto di convergenza per tutelare il valore della vita senza lasciare nessuno solo. La legge dovrebbe essere un buon punto di equilibrio”. Ha concluso: “Il diritto all’autodeterminazione va bilanciato con il valore oggettivo della vita, che è indisponibile. Se una persona si sente un peso, la società deve farsi carico di ridarle dignità”.