Pastorale: Diotallevi (sociologo), “speranza è responsabilità in spazi di autentica libertà”

“Il cristiano sa che per lui la speranza è una responsabilità. Di essa è chiamato a rispondere a chiunque gliene chieda conto (1Pt 3,15)”. Lo ha ricordato ieri pomeriggio il pastoralista mons. Antonio Mastantuono introducendo i lavori della 74ª Settimana di aggiornamento di aggiornamento pastorale, organizzata dal Centro di orientamento pastorale (Cop) sul tema “Aprire un varco alla speranza”. “La virtù teologale della speranza – ha proseguito – deve essere visibile, vissuta, deve trovare un dove, un luogo: altrimenti è illusione e retorica! Il cristiano non vive cose e realtà altre e nuove, ma sostanzia di senso nuovo e altro le cose e la realtà, e anche tutti i rapporti. Il problema non è definire la speranza, ma viverla. È la speranza che tiene l’uomo in cammino, in posizione eretta, rendendolo capace di futuro. Il cristiano trova in Cristo la propria speranza, cioè il senso ultimo che illumina tutte le realtà e le relazioni”.
Nella prima relazione in programma, il sociologo Luca Diotallevi ha presentato aspetti della speranza che permettessero di intercettarla oggettivamente, andando oltre l’ottimismo o l’inclinazione personale. “Gli elementi che aprono l’occhio della sociologia alla speranza – ha affermato – possono essere tradotti con quattro parole chiave: tensione escatologica, conoscenza, memoria, scelta responsabile”. “A proposito della tensione escatologica, la speranza – ha spiegato – non può prescindere dal movimento. Proprio come scritto in ‘Gaudium et Spes’ 37: ‘Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio’. La speranza in questo senso si fa rispettosa della secolarità”. “Circa la conoscenza o, meglio, la conoscenza di ciò che conosciamo, va ricordato il richiamo di san Paolo: ‘Badate a come conoscete’ (1 Cor 8,1-3). Ciò – ha continuato – significa mettere al primo posto l’amore di chi vediamo e di Chi non vediamo. Dove non c’è sforzo conoscitivo non c’è speranza”. “Sul terzo elemento, la memoria, va detto che la speranza ha bisogno di una memoria viva che interroghi il presente e anticipi il futuro”, ha sottolineato Diotallevi: “Si pensi ad esempio alla liturgia cristiana e al suo carattere eversivo: dove c’è celebrazione di un rito c’è speranza”. “E infine, scelta responsabile, ovvero discernimento nell’amore vero. Speranza è responsabilità in spazi di autentica libertà”, ha concluso.

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