“In una società segnata dalla solitudine, in cui l’individualismo esasperato ha spostato il baricentro dal noi all’io, finendo per ignorare l’altro, lo sport – specialmente quando è di squadra – insegna il valore della collaborazione, del camminare insieme, e può diventare uno strumento importante di ricomposizione e d’incontro: tra i popoli, nelle comunità, negli ambienti scolastici e lavorativi, nelle famiglie!”. Ne è convinto il Papa, che nella messa per il Giubileo dello sport, presieduta ieri nella basilica di San Pietro, ha osservato come “in una società sempre più digitale, in cui le tecnologie, pur avvicinando persone lontane, spesso allontanano chi sta vicino, lo sport valorizza la concretezza dello stare insieme, il senso del corpo, dello spazio, della fatica, del tempo reale. Così, contro la tentazione di fuggire in mondi virtuali, esso aiuta a mantenere un sano contatto con la natura e con la vita concreta”. “In una società competitiva, dove sembra che solo i forti e i vincenti meritino di vivere, lo sport insegna anche a perdere, mettendo l’uomo a confronto, nell’arte della sconfitta, con una delle verità più profonde della sua condizione: la fragilità, il limite, l’imperfezione”, la tesi di Leone XIV, secondo il quale “l’atleta che non sbaglia mai, che non perde mai, non esiste”: “I campioni non sono macchine infallibili, ma uomini e donne che, anche quando cadono, trovano il coraggio di rialzarsi”. “Non è un caso che, nella vita di molti santi del nostro tempo, lo sport abbia avuto un ruolo significativo, sia come pratica personale sia come via di evangelizzazione”, ha fatto presente il Pontefice: “Pensiamo al Beato Pier Giorgio Frassati, patrono degli sportivi, che sarà proclamato santo il prossimo 7 settembre. La sua vita, semplice e luminosa, ci ricorda che, come nessuno nasce campione, così nessuno nasce santo. È l’allenamento quotidiano dell’amore che ci avvicina alla vittoria definitiva e che ci rende capaci di lavorare all’edificazione di un mondo nuovo”.