Questa mattina, 18 settembre, nell’ambito dei tradizionali appuntamenti che preparano alla festa di San Matteo Apostolo ed Evangelista, mons. Andrea Bellandi, arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, con il Braccio di San Matteo, ha fatto visita all’Istituto penitenziario di Salerno.
L’arcivescovo ha rivolto un pensiero ai detenuti e a tutti i presenti: volontari, operatori e personale. Il Vangelo d’ispirazione è stato quello di San Luca 7,36-50, che presenta due figure: la peccatrice e il fariseo. “Il fariseo – ha detto il presule – è una persona stimata, corretta agli occhi della legge, apparentemente giusta, che ha una grande considerazione di sé. La peccatrice, invece, è consapevole di tutti i suoi errori, si sente indegna ed è ai margini dalla società, anche se il Vangelo non specifica quale fosse il suo peccato. È proprio questa la forza del brano: si adatta perfettamente al contesto in cui ci troviamo”.
I due personaggi, ha osservato il presule, “mostrano atteggiamenti opposti. La peccatrice, che probabilmente aveva già ascoltato le parole di Gesù e visto il suo atteggiamento verso i poveri e i peccatori, si prostra ai piedi di Gesù e gli dimostra tutto il suo affetto e l sua riconoscenza, cosa che il fariseo, pur ospitando Gesù a casa sua, non aveva manifestato. È il Maestro stesso ad evidenziarlo”.
Per mons. Bellandi, “questo episodio, che leggiamo in questa settimana in cui festeggiamo il nostro patrono San Matteo, ricorda anche l’incontro che questi, un pubblicano, aveva avuto con Gesù, che lo aveva chiamato a seguirlo. Anche lui non aveva condotto una vita esemplare ma Gesù lo ha saputo guardare e conoscere nel profondo”. In realtà, “tutti i santi non sono stati perfetti fin dall’inizio: ognuno di loro ha avuto ferite e fragilità. Gesù non minimizza o cancella con un colpo di spugna i peccati e le conseguenze di essi, ma essi non definiscono la persona, non sono mai l’ultima parola. Essi non gli impediscono di raggiungere il cuore delle persone e di farle sentire amate. Certo, il perdono rimane infruttuoso se non trova un cuore capace di commuoversi e di rispondere a tale amore misericordioso”.
L’arcivescovo ha sottolineato: “Il peccato non è perciò solo un macigno da portare sulle spalle, ma può diventare strada per amare Gesù, i fratelli e per giungere alla salvezza. Questa è la nostra speranza: il peccato non chiude la via, ma può diventare occasione di incontro con la misericordia e con un amore più grande”.