“Tutti vogliamo che questa situazione di guerra e delle sue conseguenze sulla vita delle nostre comunità finisca quanto prima, e dobbiamo fare tutto il possibile perché questo avvenga, ma non dobbiamo farci illusioni. La fine della guerra non segnerebbe comunque la fine delle ostilità e del dolore che esse causeranno”. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, celebrando ieri nel monastero benedettino di Abu Gosh, situato a 10 km da Gerusalemme, la solennità dell’Assunzione di Maria al Cielo. “Dal cuore di molti continuerà ancora ad uscire desiderio di vendetta e di ira. Il male che sembra governare il cuore di molti, non cesserà la sua attività, ma sarà sempre all’opera, direi anche creativo. Per molto tempo ancora – ha affermato il patriarca – avremo a che fare con le conseguenze causate da questa guerra sulla vita delle persone”. “Sembra proprio – ha aggiunto – che questa nostra Terra Santa, che custodisce la più alta rivelazione e manifestazione di Dio, sia anche il luogo della più alta manifestazione del potere di Satana. E forse proprio per questo, perché è il Luogo che custodisce il cuore della storia della salvezza, che è diventato anche il luogo nel quale ‘l’Antico Avversario’ cerca di imporsi più che altrove”. Parafrasando il testo dell’Apocalisse, proclamato nella Liturgia della Parola, il card. Pizzaballa ha ricordato: “In questo nostro mondo violento e dominato da tanto male, noi Chiesa, noi comunità di credenti, siamo chiamati a ‘dare alla luce il figlio maschio’, cioè a porre un seme di vita nel mondo. In questo nostro contesto di morte e distruzione, vogliamo continuare ad avere fiducia, ad allearci con le tante persone che qui hanno ancora il coraggio di desiderare il bene, e creare con essi contesti di guarigione e di vita. Il male continuerà ad esprimersi, ma noi saremo il luogo, la presenza che il drago non può vincere: seme di vita, appunto”. Non mancheranno le difficoltà, ha ammesso: “Vivremo nel deserto, non nella città. Non saremo dunque il centro della vita del mondo. Non seguiremo la logica che accompagna buona parte della vita dei potenti. Saremo probabilmente pochi, ma sempre diversi, mai allineati, e forse per questo diventeremo anche fastidiosi. Saremo comunque il luogo dove Dio provvede, un rifugio custodito da Dio. Meglio ancora, siamo chiamati a diventare noi rifugio per quanti vogliano custodire il seme di vita, in tutte le sue forme”. Da qui la certezza: “Sappiamo che prima o poi il drago sarà vinto. Ma sappiamo che ora bisogna sopportare, sapendo che il drago continuerà ad imperversare nella storia. E il sangue causato da tutto questo male, il sangue ‘di coloro che sono in possesso della testimonianza di Gesù’, e di qualsiasi altro innocente, non solo qui in Terra Santa, a Gaza come in qualsiasi altra parte del mondo, non sarà dimenticato. Non è buttato via in qualche angolo della storia. Noi crediamo – ha concluso – invece, che quel sangue scorra sotto l’altare, mischiato al sangue dell’Agnello, partecipe anch’esso dell’opera di redenzione al quale siamo associati. Li noi dobbiamo stare. È quello il nostro luogo, il nostro rifugio nel deserto”.