Nella tavola rotonda “Dire Gesù entro la pluralità culturale”, nell’ambito della sessione di formazione ecumenica del Sae a Camaldoli, sono intervenuti relatori di diverse provenienze geografiche e confessionali che, insieme alla loro specificità, hanno caratterizzato i contributi offerti per sviluppare il tema della sessione.
L’intervento di Hanz Gutierrez, originario del Perù, docente di Teologia sistematica alla Facoltà avventista di teologia di Firenze, si è incentrato su una critica articolata alla cristologia.
Secondo il docente, “la crisi del cristianesimo non risiede in un allontanamento da Cristo, ma nella stanchezza e nella rigidità della cristologia che, in primo luogo, perde in eterogeneità e complessità a Nicea e in seguito”. In secondo luogo, nella cristologia dell’homoousios si perdono dinamicità e apertura.
Per Gutierrez, il titolo della relazione potrebbe diventare “Dire Emmanuele entro la pluralità culturale”, per tre motivi. Primo, “perché Gesù è un nome centripeto al cristianesimo e lo è diventato ancora di più nell’uso che i cristiani ne hanno fatto. Gesù è un nome intenso, generoso ma esprime una ‘universalità d’accoglienza’. Tutti i popoli devono venire da Gesù a trovare in lui redenzione. Emmanuele è invece un nome centrifugo al cristianesimo ed esprime una ‘universalità nomadica’. Emanuele va dagli altri popoli, li corteggia e li accompagna, e fa del loro cammino la sua propria dimora, e in questo è felice”.
Secondo, perché “Emmanuele è un nome pre-religioso e post-religioso in quanto esprime un atteggiamento umano d’empatia e di legame con tutti i popoli a prescindere dal loro credo. È Emmanuele, non Gesù, il vero elemento transculturale, multiculturale ed interculturale del cristianesimo. Emanuele rompe col cristianesimo del potere istituzionale e ideologico che si nasconde ancora dietro il Gesù recuperato dalle Chiese”.
Terzo, “perché le altre culture del sud del mondo, per utilizzare una espressione di Philip Jenkins, non solo si muovono già sul registro introdotto da Emanuele, ma possiedono anche degli elementi e dei registri che possono aiutarci a dire meglio e più profondamente chi è Emmanuele per noi”. Se Emmanuele è quest’affermazione della vulnerabilità nella relazione come credere pre-religioso, allora “è possibile anche arricchire Emmanuele con le elaborazioni dei cristianesimi del sud, e più generalmente con la biofilia delle culture del sud che deriva dalla loro scommessa culturale sul legame e sulla relazione”. Gutierrez conclude con l’immagine di Cristo felice, “perché la felicità non è una virtù, meno ancora una medaglia, ma è sempre il segno della presenza degli altri nella nostra vita. Sono gli altri, gli accompagnati, che rendono felice Emmanuele quanto lui ha reso felici loro, accompagnandoli così come sono”.