Diocesi: mons. Antonazzo (Sora) ai giovani, “quanto più sembra costante e pervasiva la cultura della guerra, molto di più deve essere il vostro impegno per la pace”

“Per un periodo durato solo otto decenni, indicato storicamente come il ‘Dopo-guerra’, è stato possibile godere di una straordinaria opera di ricostruzione dell’Europa sotto ogni profilo: dalle condizioni sociali a quelle culturali, tecnologiche, economiche. Quasi appisolati sul cuscino morbido della pace, eravamo convinti che il nostro vivere quotidiano fosse segnato definitivamente da relazioni creditrici di reciproco rispetto, garanti di dialogo, aperte all’incontro, regolate da ogni buona norma del diritto a garanzia della dignità di tutti”. Si apre così la lettere del vescovo di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, mons. Gerardo Antonazzo, ai giovani sottolineando che dal “boom” al “boato: lo sviluppo crescente, in cui abbiamo creduto a conquiste inviolabili, d’improvviso si è trasformato in un terribile, quanto inaspettato e assurdo giovo di odio e di violenze”. Il presule ricorda che oggi nel mondo sono in corso circa 56 conflitti armati e che l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma informa che le spese militari a livello mondiale nel 2024 sono state di 2718 miliardi di dollari, a fronte dei 1.290 miliardi del 2001. Oggi – scrive – si “impone una sola verità: la pace per affermarsi in modo stabile deve diventare un cantiere sempre aperto” e per “costruire” questo cantiere dobbiamo “essere chiari sulle parole”. “Pacifico – spiega mons. Antonazzo – è “chi vive in pace con sé stesso e con gli altri. Non esisterà mai una società pacifica senza persone pacifiche”. “Pacifista – poi – è chi si impegna pubblicamente per la pace. Ma il pacifismo funziona solo se è animato da persone veramente pacifiche”. Altrimenti “rischia di trasformarsi in ideologia, a volte anche dura o incapace di capire le situazioni complesse”. “Pacificatore è – spiega ancora – colui che, forte della sua pace interiore, entra nelle situazioni difficili per portare parole e gesti di riconciliazione. L’azione del pacificatore è concreta, realista: non condanna a distanza, ma entra nelle ferite della storia per far crescere possibilità nuove”. Il presule indica, come “laboratorio di pace” la scuola che deve essere “luogo in cui ogni forma di violenza viene bandita”, come ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La scuola – scrive mons. Antonazzo – è un “cantiere fecondo di umanesimo, un laboratorio di speranza e di pace”. Nella lunga lettera il presule evidenzia che “l’idolatria del potere e il delirio dell’onnipotenza creano soltanto mostri. Domina l’idea che la forza sia condizione necessaria per costruire la pace, che solo con le armi si possa imporre una soluzione giusta ai conflitti, che per fare giustizia sia necessario annientare l’avversario”. Per “attrezzare” il cantiere” della pace – spiega – “abbiamo bisogno di operai specializzati, formati alla scuola della regola d’oro: ‘Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Da qui l’esortazione a “svuotare gli arsenali e riempire i granai” ricordando le “tristi vicende della distruzione della Città di Cassino” e di altri centri e territori limitrofi. Non basta scrivere “Trattati” sulla pace, ma raggiungere “Trattati di pace”, frutto di “dialogo, di confronto, soprattutto di reciproco ascolto delle rispettive esigenze e ragioni”. Per fare pace “abbiamo sempre bisogno di ripristinare una condizione di giustizia”, sottolinea mons. Antonazzo: “Più che parlare di pace giusta, bisogna discutere di pace equa, e non solo giusta. La giustizia non è la stessa cosa dell’equità, e ogni possibile negoziato deve prevedere l’applicazione in concreto del principio di equità”. I giovani riconoscono nella guerra “un altro nome del male e della parte più buia della natura umana”. Mons. Antonazzo sottolinea, quindi, che la “pace è una condizione che parte dal cuore, dall’equilibrio personale. Anche questo è un modo attraverso cui i giovani dicono di non volersi arrendere all’idea che la pace sia un’utopia” e poi la sottolineatura che “l’orrore della cattiveria non conosce limiti e la minaccia del nucleare sarebbe la distruzione totale”. Da qui l’invito al coraggio: “Quanto più sembra costante e pervasiva la cultura della guerra, molto di più deve essere il vostro impegno per la pace”.

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