(dall’inviato a Gerusalemme) “Il contesto dell’Ultima Cena è segnato da inquietudine, rivalità, incomprensioni: i discepoli discutono sui privilegi, vogliono rivendicare di ‘essere il più grande’, Pietro si oppone al servizio di Gesù: ‘Tu non mi laverai i piedi in eterno’ (Gv 13,8)”. Ma Gesù, ha proseguito mons. Delpini durante l’omelia, “si ostina nel servire, perché desidera che i suoi ‘abbiano parte con lui’. Gesù contrasta l’incomprensione, contesta il fraintendimento. Non però con una discussione o con una teoria, ma compiendo il gesto del servire. Ecco: il gesto. Siamo chiamati a compiere il gesto che manifesta la nostra imitazione di Gesù, quindi ad essere ostinati nel servire. I gesti però forse ci mancano”.
“La parola è diventata piuttosto astrusa – ha più avanti aggiunto Delpini – e, nella sua accezione teologica, estranea al linguaggio corrente. Il mistero che celebriamo, però, ha a che fare con il rapporto con Dio: questo calice è la nuova alleanza nel sangue di Gesù. L’essere figli nel Figlio, l’essere popolo di Dio, trova nel segno dell’assemblea liturgica, della celebrazione dei santi misteri, la rivelazione sorprendente dell’alleanza con Dio. Con tremore e timore si affacciano all’abisso insondabile i figli di Dio, ma il loro spavento è trasfigurato per opera di Spirito Santo nell’abbandonarsi in lui, nella confidenza, nel ‘sentirsi a casa’”. Infine: “L’imbarazzo delle parole che non sanno dire ‘Dio’ da cristiani è forse sintomo di un’alleanza ancora da stabilire, di una luce ancora da invocare, perché Dio non sia ridotto all’idolo costruito dalla mente umana. Piuttosto, poter dire: Padre”.
Al termine della messa il saluto dei frati francescani che hanno in custodia la chiesa: “Grazie per questo vostro pellegrinaggio. Grazie per la solidarietà. In questo periodo si sono visti, per ovvie ragioni, pochi pellegrini. La vostra visita e vicinanza è importante. E, per favore, pregate per noi e per la Terra Santa”.