(dall’inviato a Gerusalemme) “Le cose non sono cose. Le cose sono segni. Sono parole. Sono inviti. Sono confidenze. Sono rivelazioni. In ogni momento ci raggiunge una luce, un incanto, un interrogativo. L’insistenza di Giovanni nel richiamare l’attenzione ai gesti e a quello che Gesù usa è un invito a non ridurre i segni a cose. Le vesti, l’asciugatoio, l’acqua, il catino. Si alzò, depose, si cinse, lavare, asciugare. Siamo pellegrini in questa terra, attratti dal desiderio di ascoltare quello che hanno da dirci gli ulivi e i campi, le strade e le case, l’amicizia e l’ostilità. Non si tratta di cose o di fatti, ma di confidenze che ci introducono nel mistero di Cristo”. Lo ha affermato mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, riprendendo le letture appena proclamate nell’omelia della messa celebrata questa sera al Getsemani. Giornata ricca di incontri, quella dei vescovi lombardi. Dopo la mattinata in Cisgiordania, al villaggio di Tayibe, sono rientrati a Gerusalemme, hanno incontrato alcuni giornalisti che operano in Terra Santa; quindi, hanno reso visita alla comunità dei cristiani di lingua ebraica. A seguire una veglia e poi la celebrazione eucaristica nella basilica del Getsemani.
“In realtà – ha proseguito mons. Delpini – dobbiamo forse riconoscere che i segni non parlano: sono oggetti senza voce, sono gesti senza messaggio. Li ha zittiti la fretta, la superficialità, la ripetizione per inerzia, lo smarrimento del contesto di pensiero in cui vengono all’evidenza i significati. L’affermazione della centralità della celebrazione, per la vita e per la forma della comunità, suona spesso retorica e un principio ribadito per volontarismo, piuttosto che per esperienza spirituale. La preoccupazione didattica, quella di fare dei segni e dei gesti cose da spiegare, impone l’evidenza che i segni sono muti. Potremo fare memoria di Gesù, secondo il suo comandamento, facendo ‘questo’, cioè, rivivendo nel mistero la Pasqua di Gesù? Siamo chiamati a esercitare una pratica del celebrare che comunichi la vita cristiana non come una dottrina da imparare, non come una disciplina da praticare, non come un discorso da fare. Piuttosto una vita, nel suo splendore, nel suo dramma, nell’intensità della comunione con Gesù, via, verità e vita”.