“La malattia mortale, inguaribile, non interrompe le relazioni, ma rende possibile una particolare intensità di queste. Le parole da dire anche ‘sul letto di morte’ hanno un significato ed esprimono un modo di portare a compimento la propria vocazione”. Sono questi i punti-chiave sui quali l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha centrato la sua relazione al convegno “Vivere sempre la propria vita”, tenutosi ieri pomeriggio a Milano, sottolineando l’importanza “delle cure palliative e la problematicità di una prospettiva di deriva individualistica”. “L’intento del ‘Piccolo lessico’ – il volume a cura della Pontificia Accademia per la vita, presentato nell’assise – è quello di offrire una chiarificazione provvidenziale sui termini che si usano per spiegare i temi così complessi e drammatici che sono messi all’ordine del giorno dalle condizioni di vita rese possibili dalla medicina contemporanea”, ha proseguito Delpini offrendo una visione interpretativa della “vita desiderabile”.
“La solitudine del malato terminale è una condizione drammatica che pone la questione se la vita sia desiderabile o detestabile. La vita è desiderabile – ha detto il presule – in primo luogo per le relazioni con le persone che appartengono alla cerchia delle persone amate. La separazione dalle persone care è un dolore tremendo, la prossimità delle persone care è una gioia impagabile. La vita è desiderabile per la bellezza della vita, del mondo, della storia umana. Infatti la vita è interessante e il piacere ‘estetico’ della contemplazione della vita è una esperienza di gioia: vedere i bambini giocare e divertirsi, vedere le persone volersi bene, vedere i colori della natura, vedere i comportamenti degli animali, specie di quegli animali con i quali si è stabilito un rapporto ‘affettivo’, sono aspetti che rendono bella la vita anche in una camera di ospedale o di hospice”.

(Foto A.B.)
Infine, “la vita è desiderabile per il bene che si può fare: c’è infatti un gusto nel fare il bene, anche in totale gratuità. Sempre, anche in condizioni di malattia mortale si può pregare, sorridere, sempre si può dire una parola buona, sempre si può dedicare del tempo ad ascoltare. La vita è desiderabile per quello che consente di conoscere di sé, di Dio, degli altri. L’esperienza della malattia, se non toglie la lucidità, è una scuola severa, ma preziosa: impone infatti domande difficili e affascinanti, permette di dare nuovi significati alle parole, alle relazioni, alle pagine evangeliche”. L’arcivescovo ha osservato: “Il tempo della malattia e la consapevolezza di avvicinarsi alla morte può consentire un modo inedito di pregare, di valutare la propria vita, fino a propiziare la conversione e il desiderio di Dio, fino a rileggere la storia per dare il giusto nome a quanto si è fatto”. In particolare “l’esperienza del male irrimediabile può favorire una particolare consapevolezza della comunione con Gesù insultato, torturato, crocifisso. Ci sono forme di malattia o di disabilità che consentono di ‘stare bene’ con se stessi, accettando i limiti imposti dal fisico. Tutto il capitolo delle cure palliative è un esercizio di conoscenza e di scienza che contribuisce a rendere comunque desiderabile vivere”.