“Napoli, nonostante le sue ferite, è città di pace. E da questa città affacciata sul Mediterraneo vorrei si generasse un movimento di speranza e di pace, perché come diceva La Pira occorre partire dalle città per unire le nazioni. E vorrei anche che questo contagio di riconciliazione fosse fondato su un linguaggio chiaro, compreso da tutti i popoli di tutte le città che su questo mare affacciano i propri timori e le proprie speranze. Perché la menzogna comincia dalle parole, soprattutto da quelle ambigue, anestetizzate: i droni sono fucilazioni telecomandate; i ‘danni collaterali’ sono bambini senza volto; una spesa militare che supera scuola e sanità non è sicurezza ma suicidio collettivo”. Lo ha detto, stamattina, il card. Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, nell’omelia della messa nella solennità di San Gennaro, patrono della diocesi di Napoli. “Convertiamo gli arsenali in ospedali, gli utili di guerra in borse di studio, i bunker in biblioteche. Questa è l’unica geopolitica evangelica degna del Nome che invochiamo”, ha affermato, evidenziando che “il male non è un’idea, è una filiera. Ha uffici, contabili, bonus, piani industriali. La guerra non ‘scoppia’: si produce, si finanzia, si premia. Ogni bilancio militare che si gonfia come una vela è vento cattivo contro la carne dei poveri. Ogni ‘espansione della spesa per la difesa’ che supera scuola e sanità non ci rende sicuri: ci rende più soli e più poveri”.
Per il porporato, “il grido dei poveri e degli ultimi, il sangue dei bambini e il pianto delle loro madri, dice ai potenti di questa terra, alle istituzioni di questa nostra unione, alla Knesset, ai governi, ad ogni comando militare: fermate la spirale! Cercate giustizia prima dei confini, diritti prima dei recinti, dignità prima dei calcoli. Non si costruisce pace con check-point e interruzioni di vita, ma con diritto eguale, sicurezza reciproca, misericordia politica”.
E ancora: “Il sangue gridato dalle macerie non è un argomento: è un’anafora di Dio che ripete: Che ne hai fatto di tuo fratello?
Sorelle e fratelli che sedete nei parlamenti, vi chiedo: come potete scegliere i missili prima del pane? Dove avete smarrito il volto dei vostri fratelli e delle vostre sorelle? Sorelle e fratelli che operate nella finanza e nei grandi mercati, vi chiedo: come potete esultare quando la guerra si allunga e le azioni della difesa salgono? Non sentite il grido dei vostri fratelli e delle vostre sorelle? Sorelle e fratelli imprenditori e azionari le cui industrie falsificano il Vangelo del lavoro, fondendo aratri in granate, vi chiedo: che ne avete fatto della dignità dei vostri fratelli e delle vostre sorelle? E noi tutti, con le nostre coscienze addormentate, che lasciamo scorrere il dolore come acqua sul marmo, assuefatti all’orrore, chiusi nel piccolo recinto della comodità che vogliamo difendere a ogni costo… anche noi dobbiamo chiederci: che ne abbiamo fatto dei nostri fratelli e delle nostre sorelle?”.
Qui, a Napoli, “questa domanda ce la poniamo ogni giorno perché la nostra città è un altare ferito e luminoso, dove il sangue lo conosciamo: quello dei giovani perduti, quello delle vittime innocenti, quello invisibile di chi smette di sognare. La questione meridionale non è un capitolo archiviato: è una pagina che chiede inchiostro nuovo — lavoro, scuola, cura, cultura. E necessita non di amministratori dell’emergenza, ma artigiani di futuro. Perché la politica, se è degna del suo nome, è un’arte liturgica: mette ordine non per ornare, ma per servire”.