Settimana liturgica nazionale: fr. Bonelli (comunità della Madia), “una liturgia per la vita”

“La liturgia nasce dalla vita ed è destinata a diventare vera nella vita”. Con questa affermazione, fr. Goffredo Bonelli, monaco della comunità della Madia, ha concluso la 75ª Settimana liturgica nazionale, ospitata quest’anno a Napoli. La sua relazione, la più applaudita dall’assemblea, dal titolo “Andate e annunciate il Vangelo del Signore. La liturgia si fa vita”, ha voluto correggere il sottotitolo ufficiale con una sfumatura decisiva: “Non una liturgia che si fa vita, ma una liturgia per la vita”.
Al centro del suo intervento, Bonelli ha richiamato l’unità inscindibile tra culto e esistenza: “Nel cristianesimo, come già nella fede d’Israele, non c’è alcuna possibilità di separare o contrapporre liturgia e vita, rito ed etica, simbolo e realtà, celebrazione e testimonianza”. Ogni tentativo di scissione porta infatti a due derive speculari: il ritualismo, che fa del culto un’arte fine a se stessa, e il moralismo, che conosce la legge ma dimentica l’amore.
La liturgia – ha ricordato – non si esaurisce nell’atto celebrativo, ma è ordinata a trasformare la vita concreta del credente e della comunità: “Ogni benedizione posta al termine della celebrazione è una grande epiclesi sulla nostra vita, perché sia viva, copiosa, fedele, santa; una vita vissuta nella giustizia, nella misericordia, nella pace”. In questa prospettiva, il monaco ha collocato il suo percorso in tre passaggi: la vita al cuore del mistero di Dio; la liturgia che nasce dalla vita; la liturgia per la vita.
Alla radice vi è la rivelazione stessa di Dio come “Signore della vita”: nel Figlio “la vita si è fatta visibile” e nello Spirito “che dà la vita” la Chiesa confessa il compimento del mistero. Per questo, celebrare il Signore significa celebrare la vita in tutte le sue espressioni, anche nelle sue fragilità e contraddizioni.
Ma la vita non è solo il fondamento: è anche l’orizzonte della liturgia. Citando sant’Ireneo – “la gloria di Dio è l’uomo vivente” – Bonelli ha spiegato che “nel cristianesimo il culto gradito a Dio è l’uomo che vive”. La liturgia, quindi, non è mai autoreferenziale: nasce dalla vita del popolo di Dio, dai suoi momenti di gioia e dolore, che vengono portati all’altare e uniti alla Pasqua di Cristo; e ritorna alla vita del credente, chiamato a tradurre nella quotidianità ciò che ha celebrato, vivendo una fede di giustizia, carità e amore fraterno.
La sfida, tuttavia, è rendere reale questa circolarità tra celebrazione e esistenza, evitando che resti sul piano teorico. Qui Bonelli ha toccato un nodo pastorale delicato: “Oggi si fa fatica a superare la dicotomia tra una liturgia vissuta in modo intimistico, individualista, e una liturgia che diventa testimonianza comunitaria. Alla radice di questa difficoltà c’è una debolezza del credere, quella ‘anestesia’ di cui parlava san Paolo”.
La fede fragile produce una vita cristiana altrettanto fragile. Per questo – ha osservato con forza – è decisivo ridare centralità al sostantivo “vita” prima ancora che all’aggettivo “cristiana”: “Gesù amava la vita, combatteva una battaglia per la vita. Quando incontrava persone malate, oppresse, ingiuste condizioni di esistenza, restituiva loro vita”.
Da qui l’appello finale: la Chiesa non può limitarsi a custodire un rito, ma ha un debito nei confronti del mondo – “offrire una vita piena, abbondante”. Solo così la liturgia sarà davvero “per la vita”: un annuncio credibile del Vangelo del Signore, più forte della morte, capace di ridare dignità ai poveri e speranza a chi soffre.

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