Giubileo dei giovani: Stara (ex Cpi), “umiltà nell’affidarsi a chi ha più esperienza, perché la vita si fa insieme e così si raggiungono i risultati”

(Foto Baviera/SIR)

“Abbiate un pizzico di umiltà nell’affidarvi a chi ha più esperienza, non abbiate paura a farvi accompagnare. Perché la vita si fa insieme e insieme si raggiungono i risultati”. Lo ha affermato questa mattina Juri Stara, ex segretario generale presso il Comitato italiano paralimpico, durante l’incontro “La vita si fa insieme: il coraggio di essere accompagnati” dedicato alla “Gioia piena” che si è svolto nella chiesa di San Giuseppe al Trionfale, a Roma, nell’ambito dell’iniziativa “12 parole per dire speranza” promossa dalla Cei per il Giubileo dei giovani.
Rivolgendosi agli oltre 650 giovani – dalle diocesi di Acqui, Albenga-Imperia, Asti, Brescia, Cagliari, Casale Monferrato, Cassano all’Jonio, Faenza-Modigliana, Lucca, Milano, Roman, Tempio Ampurias, Tortona e Venezia, degli Scout d’Europa e del Movimento Guanelliano – Stara ha rilevato che “la vita si fa insieme” è “una frase tanto forte, giusta e vera quanto non sempre applicabile per le debolezze umane”. Per 10 anni e fino ad un mese fa impegnato nel mondo paralimpico, Stara ha utilizzato l’esperienza vissuta per parlare di “gioia piena”. “La persona disabile – ha spiegato – dal primo momento in cui capisce di essere diventata tale – dopo un incidente, una patologia o per fattori congeniti – e matura questa consapevolezza, non può che assumere il termine ‘insieme’ come una ragione di vita. La persona disabile deve farlo perché ha bisogno di essere supportata” e uno “sportivo disabile dal primo istante ha bisogno di vivere questa esperienza insieme ad un fisioterapista, ad un tecnico, ai compagni di squadra”. Ma, paradossalmente, “essendo lo sport paralimpico un eccezionale strumento riabilitativo a livello fisico, mentale e sociale” finisce per far vivere agli “atleti – sia di base sia di alto livello – il concetto che ‘la vita si fa insieme’ al contrario: l’obiettivo vero – ha spiegato – è quello di arrivare al punto in cui non avranno più bisogno del fisioterapista, dell’allenatore, della guida” perché “ci si vuole riappropriare della propria autonomia”. “Lo sport rappresenta in questo uno strumento per la propria autonomia e per cercare di trovare il proprio posto nel mondo”. Un esempio cui ispirarsi: “Ognuno ha in testa un percorso da compiere”. Ma, ha osservato, “percepisco che tra voi vi è un sentimento comune che vi fa ritenere di non essere mai all’altezza, intravedo la vostra paura di trovare qualche ostacolo che non renderà possibile fare quello che vorreste”. E allora viene in soccorso “la prima regola del paralimpismo” che è “guardare a ciò che è rimasto e non a ciò che si è perso”. “Per gli atleti paralimpici è fondamentale capire, comprendere ed accettare con gioia piena che attraverso lo sport e magari qualche ausilio si possa praticare sport, si possa vivere la vita non pensando più a quello che si aveva prima ma a quello che potrò conquistare”. “Voi che avete il futuro dalla vostra – ha esortato i giovani – pensate alle cose belle che sono dentro di voi, all’energia che può essere sviluppata come volete. Non esiste una strada giusta, un approdo giusto: c’è un percorso, ci sono caratteristiche diverse…”.

(Foto Baviera/SIR)

Stara ha poi sottolineato l’importanza di avere “la capacità di essere accompagnati”. Come succede agli “atleti non vedenti che sia affidano ad una guida. Se da una parte c’è una guida – ha rilevato – dall’altra c’è una persona che ha affidato la sua vita sportiva completamente ad un altro soggetto”. Di qui, “l’insegnamento per ciascuno di noi – non solo per i giovani – è quello di farsi accompagnare da chi ne sa più di noi – genitori, educatori – o ha vissuto un’esperienza prima di noi”. Sapendo che “non si è mai soltanto accompagnati o accompagnatori, essere bravi a cogliere i diversi momenti”. Nell’intervento di Stara il racconto del “nuotatore plurimedagliato alle paralimpiadi, laureato, uno che ce l’ha fatta attraverso lo sporche gli ha dato sicurezza” che però “fino a qualche anno prima ha odiato la madre” perché “per anni lo ha obbligato nonostante la sua resistenza ad andare ogni giorno in piscina a nuotare. ‘Più mi mandava a nuotare più la odiavo’, ha detto più volte. Un odio espresso in tutte le sue forme, e subirlo per un genitore è doloroso”. Ma “la mamma – ha proseguito – ha avuto la forza e il coraggio di accompagnarlo in qualcosa di utile nonostante l’odio per anni. Ella fine il ragazzo è diventato quello che è diventato”. Un secondo esempio riportato è quello di Monica Contraffatto che, in ospedale per aver perso una gamba nel corso di un’operazione militare in Afghanistan, vedendo alla tv Martina Caironi trionfare alle Paralimpiadi di Londra si è detta: “Se ce l’ha fatta lei ce la devo fare anch’io”. “E quattro anni dopo, a Tokyo, hanno corso fianco a fianco ed hanno vinto entrambe la medaglia”, ha concluso Stura augurando ai giovani presenti di “entrare in contatto col mondo paralimpico da volontari o studiosi, perché sarà molto quello che otterrete in termini di conoscenza e consapevolezza che la persona viene prima di ogni problema fisico o limite”.

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