Nella famiglia “conta la relazione”. Nella famiglia conta “l’essere accettati”. Lo ha affermato mons. Domenico Pompili, vescovo di Verona, concludendo l’incontro “La famiglia educa a varcare la soglia della ‘complessità’”, che si è svolto questo pomeriggio nella chiesa di San Gregorio VII a Roma, nell’ambito dell’iniziativa “12 parole per dire speranza” promossa dalla Cei per il Giubileo dei Giovani. “La famiglia – ha spiegato il presule – è soglia anzitutto nella coppia, dove si è sfidati a passare dall’amore che finge di capirsi all’amore che ha il coraggio di dire la verità”; è “soglia tra genitori e figli”: grazie alle giovani generazioni, dalla porta di casa entrano parole, esperienze e storie impreviste che generano scompiglio negli adulti. È l’attrito tra il passato, il presente e il futuro: la vita chiede una continua mediazione per salvare l’essenziale, tra l’io e il bene che ci scambiamo. È “soglia” tra nonni e nipoti, nella scuola tra docenti e discenti, tra gli affetti e il senso. Secondo mons. Pompili, oggi le famiglie sono “affettive”, e questo “è certamente una conquista che consente di maturare una piena libertà relazionale”. Tuttavia, ha avvertito, c’è un vuoto preoccupante riguardo “il senso della vita, la direzione della giustizia, la profondità di esperienze come il nascere, morire, amare, sperare, credere”. Questo vuoto nelle famiglie è anche il vuoto delle nostre comunità e delle nostre società. Inoltre, la famiglia è “soglia tra la camera e il mondo”, dove la verità soggettiva deve misurarsi con la solidarietà comunitaria. In questa “continua negoziazione” occorre imparare “l’arte del conflitto, della mediazione onesta, dell’integrazione delle differenze”, evitando però “assolutamente la violenza, la manipolazione e il ricatto affettivo, la falsa armonia”. La famiglia – ha proseguito il vescovo – “non è una bandiera di un gruppo politico o di un movimento religioso, ma un luogo straordinario di relazione e di crescita, un luogo che appartiene a tutti”. È “uno spazio di prossimità”, fatto di scelte elettive ma anche di “scelte per prossimità di destini”, perché è lì che “ci esercitiamo ad amare coloro che non ci somigliano e che, magari, strada facendo si trasformano così tanto da diventare per noi irriconoscibili”. Le famiglie, dunque, sono “soglie essenziali, luoghi di sperimentazione dell’amore”. Lo sono anche quando sono fragili, imperfette, tese, perché sono sorgenti di resilienza sostenute dalla qualità autentica dei legami. Sono luoghi che hanno il coraggio di essere soglia, restando sulla soglia affinché “le libertà possano maturare”. La “famiglia-soglia” è quella che “non teme il disordine creativo dell’amore autentico, sapendo che solo attraversando le inquietudini e le trasformazioni si può attingere alla bellezza dei legami”. È la famiglia che “sceglie di fidarsi dell’amore come forza generativa”, capace di rivelare gesti inaspettati “anche nei lamenti più difficili, perché ha imparato che l’amore vero non protegge dalla vita, ma la trasforma dall’interno”. Infine, mons. Pompili ha indicato il “male oscuro” della famiglia moderna nella mancanza di speranza nel futuro: quando questa viene meno, “la convivenza diventa impossibile e ciascuno cerca di mettersi in salvo da solo, ma illudendosi, perché non è possibile”.