“Le nostre ferite, i nostri limiti sono dei solchi dove può germogliare qualcosa di buono. Le nostre cadute possono essere delle rampe di lancio. Queste sono le scoperte che ciascuno è chiamato a fare”. Così Marco Erba ha concluso la sua testimonianza durante l’incontro in corso stamani nella chiesa del Sacro Cuore, a Roma, nell’ambito delle “12 parole per dire speranza” del Giubileo dei giovani. Docente di lettere in un liceo della provincia di Milano, scrive libri per ragazzi. Erba ha parlato a centinaia di giovani che hanno gremito la chiesa, arrivati dalla Lombardia, dalla Puglia e dalla Sardegna, alla presenza dell’arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi.
Il suo intervento è cominciato ricordando l’immagine biblica di Abramo invitato da Dio a uscire dalla propria terra: “Per fare una scoperta importante devi alzarti e andare fuori dalla tua zona di comfort”, ha detto ai ragazzi. E ha aggiunto: “Studiare è una fatica, ma è un privilegio perché scopri che il mondo e le persone sono una meraviglia e, se puoi dare loro un contributo, sei felice”. Ha, poi, messo in guardia dalla perfezione: “Il contrario di felicità è perfezione”. Poi, ha ricordato note personali, il legame con il nonno, la formazione a scuola con quel docente salesiano che gli ha fatto capire l’importanza dell’ascolto. E, quindi, Leopardi da cui ha imparato che “sei dentro qualcosa di immenso”. “Passiamo la nostra vita a cercare di inseguire traguardi e di raggiungere obiettivi e ci dimentichiamo della sola cosa che conta davvero: guardare il blocco di marmo e vedere in prospettiva l’opera d’arte. Dovremmo fare come diceva Michelangelo: togliere ciò che nella nostra vita ci appesantisce e fare risplendere il capolavoro che noi siamo”. Infine, l’esperienza di oggi da docente: “L’altro è una minaccia o un’opportunità? – ha chiesto ai ragazzi presenti -. In ogni persona c’è una scintilla di bellezza, c’è qualcosa di buono. La loro identità è la bontà”, ha ribadito.