Giubileo dei Giovani: don Burgio, “speranza è dolore che non si arrende”

“Speranza è dolore che non si arrende”. Con questa immagine intensa don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile di Milano e fondatore della comunità Kayrós, ha aperto la sua testimonianza durante la catechesi di questa mattina dedicata alla parola “Riscatto”, nell’ambito del percorso “12 parole per dire speranza” del Giubileo dei Giovani 2025. Il sacerdote ha raccontato ai ragazzi la sua esperienza quotidiana accanto ai minori detenuti, dove – ha spiegato – “nessuno dovrebbe restare prigioniero per sempre dei propri errori”. Il carcere minorile, ha sottolineato, non è solo un luogo di pena, ma un crocevia di vite spezzate, segnate da dolore e solitudine, dove il rischio più grande è lasciarsi morire dentro, soprattutto negli ultimi mesi di detenzione, quando il vuoto sembra più forte della speranza e nessuno aspetta più fuori. Don Burgio ha condiviso storie di riscatto e rinascita, come quella di Dario, ex rapinatore che ha conosciuto il carcere e le sue dure sconfitte. Accettando di entrare in comunità, ha imparato a confrontarsi con persone diverse e a cambiare prospettiva. Oggi è laureato e lavora come educatore, e il giorno della sua laurea fuori dall’università c’era anche il giudice che lo aveva condannato: “La vera giustizia non si limita a punire – ha ricordato don Claudio – ma sa curare, risvegliare e, soprattutto, perdonare”. Il sacerdote ha anche raccontato episodi in cui il perdono ha aperto strade nuove. Come la storia di un giovane detenuto che ricevette una lettera dalla madre del ragazzo che aveva ucciso: “Ho già perso un figlio, non voglio perderne un altro”. Quella madre decise di perdonare e di incontrare l’assassino di suo figlio, scegliendo di non restare prigioniera del risentimento. “Il perdono – ha sottolineato don Claudio – non cancella il passato, ma lo attraversa con verità e coraggio”. Non sono mancati momenti di fallimento. Due ragazzi della comunità erano spariti e si scoprì che erano partiti per combattere con l’Isis. Uno di loro scrisse a don Claudio: “Grazie di tutto, Don. Ci vediamo in paradiso”. Per il sacerdote fu un richiamo a non smettere di rischiare: “Solo chi rischia può davvero vivere, anche nell’incontro con chi viene da un’altra storia o religione”. La catechesi si è conclusa con l’intervento dell’arcivescovo Gambelli, che ha consegnato all’assemblea tre immagini simboliche.
La prima, ispirata a don Andrea Santoro, lo “scalpellaccio”: uno strumento grezzo e inadeguato che, nelle mani di un artista, può diventare capace di scolpire bellezza. La seconda immagine è stata quella della perla, che nasce dal liquido prodotto dall’ostrica per proteggere un piccolo verme: un segno di come la fragilità custodita possa generare qualcosa di prezioso. Infine, la terza immagine, ripresa da don Tonino Bello, ricordava che “siamo angeli con un’ala soltanto”, capaci di volare solo sostenendoci a vicenda. Una catechesi intensa, che ha ricordato ai giovani pellegrini che la speranza nasce sempre da un dolore attraversato con coraggio, e che il riscatto è possibile per ogni vita, se incontra ascolto, perdono e amore.

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