Come Maria, “in questa Napoli che si illumina e spera, anche noi siamo chiamati a dire il nostro sì. A credere nel Dio dell’impossibile, a fidarci della sua promessa dentro le nostre contraddizioni, a lasciarci generare come discepoli e costruttori di un mondo più umano. La sequela non è un sentimento, ma una scelta: è dire ‘eccomi’ là dove la vita ci mette, nel lavoro, nelle relazioni, nei luoghi della città dove il Vangelo attende ancora mani che lo incarnino”. Lo ha detto, ieri, il card. Mimmo Battaglia, nella solennità dell’Immacolata, soffermandosi “su un aspetto dell’essere discepoli che spesso dimentichiamo: la politica!”, “non nel senso dei partiti, ma nel senso alto e nobile della parola, quello che Paolo VI chiamava ‘la forma più alta della carità’”.
Per il porporato, “la prima politica, quella sacra su cui si regge la nostra città, è la politica della povera gente”: “Quando dico povera gente non penso a chi non ha nulla, ma alla gente che non ha potere, nessun potere economico, istituzionale, di forza, nessun potere da far valere, nessun ‘lei non sa chi sono io’ da poter dire. Mi riferisco a quella gente semplice che abita la città senza clamore, che non appare nei telegiornali e non parla nei talk show, ma che ogni giorno tiene in piedi Napoli con le proprie mani, con la propria onestà, con la propria fede silenziosa. Gente che non ha smesso di credere che il bene, anche se piccolo, può cambiare le cose. Gente che rinuncia alla logica del potere, al dominio, alla furbizia che schiaccia. È su questa gente che si regge la città. Senza di loro tutto crollerebbe”. È “la politica dei gesti piccoli, quella che non si vede ma costruisce”, è “la politica dell’attenzione alla porta accanto, della fedeltà al quotidiano, della tenerezza come forma di resistenza”, è “la fedeltà al bene, la vera ribellione”.
Vi è poi “una politica che si esercita pacificamente per la strada, nei luoghi di lavoro, ed è la politica di chi non tace. Perché nasce dal coraggio di chi non sopporta più di assistere al dolore come se fosse normale. Dal coraggio di chi non accetta che la violenza diventi abitudine, che la camorra diventi destino, che la guerra diventi notizia da dimenticare dopo il telegiornale”. La politica di chi non tace “è quella di chi alza la voce pacificamente, non per apparire, ma per indignazione. Di chi protesta non per distruggere, ma per costruire un mondo più giusto. Di chi grida pace non come slogan, ma come preghiera incarnata. È la politica degli affamati di giustizia, quelli di cui parla il Vangelo: non santi perfetti, ma uomini e donne che sentono il dolore del mondo come ferita propria. Sono i giovani che scendono in piazza con cartelli fatti a mano e occhi pieni di sogni”.
C’è infine “una politica che nasce da una chiamata”: “È la politica di chi sceglie di rappresentare gli altri non per elevarsi, ma per chinarsi. Di chi entra nelle istituzioni con il desiderio di essere ponte, non trono; voce, non eco”. Per il card. Battaglia, “il nostro tempo, il nostro paese, la nostra terra ha sempre più bisogno di donne e uomini capaci di coraggio e di umiltà, di servitori che sappiano mettere da parte il tornaconto personale per restituire dignità al bene comune. E i credenti non possono sottrarsi a questa chiamata di pace e di giustizia. Perché la politica non è l’arte di vincere, ma l’arte di costruire insieme. In un tempo in cui vige la logica violenta dei ‘like’, quella del consenso che svuota le parole e consuma le coscienze, serve ritrovare il senso della misura, il gusto della gratuità, la forza di dire no alle scorciatoie, la capacità di fermarsi davanti a un volto e riconoscerlo come sacro. È la politica come cura”.