Pro Terra Sancta esprime “profonda preoccupazione per la recente confisca di circa 1.800 dunum di terre private nel villaggio palestinese di Sebastia, un’area pari a circa 260 campi da calcio che comprende terreni agricoli, case e porzioni del sito archeologico”. Si tratta, si legge in un comunicato, di “un provvedimento di vasta portata che incide direttamente sulla vita delle famiglie locali e sull’integrità di un patrimonio storico e culturale unico. Il sito archeologico di Sebastia, spiega Pro Terra Sancta, non è un’isola separata, ma parte integrante del villaggio, delle sue tradizioni e della sua economia, fondata in larga parte sugli uliveti ora a rischio. Separare l’area archeologica dal tessuto urbano e agricolo significa spezzare un legame secolare e privare centinaia di famiglie della loro principale fonte di sostentamento, compromettendo anche le esperienze di turismo comunitario sviluppate negli ultimi anni”. Nella nota, Pro Terra Sancta che opera in Medio Oriente, principalmente dove sono presenti i frati francescani della Custodia di Terra Santa, ricorda che “Sebastia è di tutti: non è solo un sito archeologico, è un villaggio vivo, fatto di famiglie, bambini, uliveti, memorie condivise da cristiani e musulmani. Il diritto internazionale vieta questa forma di occupazione in Area B e noi lo ricordiamo con forza: non si può usare l’archeologia come pretesto per controllare il territorio e limitare la libertà delle persone. Oltre alla parte archeologica, qui parliamo di case private, di piccoli esercizi commerciali, di una guesthouse e di stanze che abbiamo reso accessibili anche alle persone con disabilità”.
Da qui l’appello di Pro Terra Sancta, alla società civile italiana – associazioni, parrocchie, scuole, amministrazioni locali e singoli cittadini – “di unirsi a noi nella difesa della dignità e dei diritti di Sebastia: informandosi, facendo sentire la propria voce, promuovendo iniziative di sensibilizzazione e sostenendo concretamente la comunità che abita questo luogo. La credibilità dei richiami al diritto e ai diritti umani passa anche da villaggi come Sebastia, che non possono essere lasciati soli”. Nel comunicato vengono riportate anche le voci degli abitanti che raccontano anche l’impatto quotidiano delle incursioni militari sul tessuto sociale del villaggio: “Ogni incursione porta panico e paura: i negozi devono chiudere, la vita si ferma, le famiglie fanno fatica persino a procurarsi i generi alimentari di base. I nostri bambini avrebbero diritto di giocare e di praticare sport come tutti gli altri, ma spesso siamo costretti ad annullare o rimandare le attività perché restiamo per ore ad aspettare che i soldati se ne vadano. Questo genera una grande insicurezza nei più piccoli e segna profondamente la loro crescita. Chiediamo solo di poter continuare a beneficiare e coltivare le nostre terre, che ci sono state tramandate di generazione in generazione, e di poter crescere i nostri figli qui, nel nostro villaggio, senza paura”.