“Prezzi insostenibili, mancanza di farmaci, distruzione delle abitazioni e instabilità costante”: sintetizza così Caritas Jerusalem la vita quotidiana nella Striscia di Gaza. In una nota diffusa oggi e pervenuta al Sir, l’organismo che fa capo al Patriarcato latino di Gerusalemme, parla di pace ancora lontana, anzi di “una guerra dopo la guerra”. Riportando testimonianze dirette del suo team che opera all’interno della Striscia, Caritas Jerusalem afferma che “frutta, verdura e alcuni prodotti alimentari sono nuovamente reperibili, ma a costi proibitivi: un chilo di pollo raggiunge i 70 shekel, circa 18,50 euro, mentre uno snack può costare intorno ai 15 shekel (4 euro circa) . Il gas è diventato un bene quasi di lusso: “Un chilo costa 80 shekel (oltre 21 euro) lo stesso prezzo che prima si pagava per una bombola intera”. Trovare carburante è comunque difficile, e le persone attendono ore ai punti di distribuzione. Circa l’emergenza sanitaria, la Caritas parla di “farmaci quasi introvabili. Le farmacie sono praticamente vuote e i pochi medicinali disponibili entrano solo attraverso istituzioni sanitarie.
Le restrizioni ai valichi impediscono alle aziende di rifornire il territorio. L’inverno che avanza costringe la popolazione in tende e rifugi di fortuna. “Interi quartieri sono vuoti, inabitabili, senza vita” denuncia la Caritas. “Le tende non offrono protezione adeguata dal freddo e dalle intemperie”, e i volontari raccontano di assistere a scene strazianti ogni giorno. La rimozione delle macerie è iniziata, ma avviene quasi esclusivamente grazie a iniziative spontanee della popolazione. Nelle due chiese ancora agibili, la parrocchia latina della Sacra Famiglia e quella greco-ortodossa di san Porfirio, trovano riparo i collaboratori di Caritas e alcune famiglie. “Le loro case e le loro auto sono state distrutte, ma almeno qui si sentono protetti”, riferiscono gli operatori. L’ultimo gruppo di sfollati ha lasciato le parrocchie un mese fa. Molti giovani attendono l’apertura dei valichi per raggiungere le famiglie o continuare gli studi all’estero, soprattutto in Giordania. “È doloroso vedere un’intera generazione costretta a partire, senza reali prospettive di ritorno” spiegano dalla Caritas Jerusalem. Nonostante la fine ufficiale del conflitto, la sicurezza resta precaria. Ogni notte, tra le 3 e le 6, si legge nel comunicato, si registrano nuovi bombardamenti nella zona orientale di Shuja’iyah, vicino alla parrocchia della Sacra Famiglia. “Non sono esplosioni: è il suono dell’annientamento”, testimoniano gli operatori. Le onde d’urto spalancano porte e finestre anche a distanza. In tutto questo l’incertezza politica sul futuro governo di Gaza alimenta instabilità e timori: apertura dei valichi, distribuzione degli aiuti, accesso ai farmaci e carburante dipendono da chi prenderà il controllo nei prossimi mesi. Caritas Jerusalem continua la sua missione. “Nonostante tutto, le nostre squadre servono con coraggio e dedizione. Restiamo al loro fianco, impegnati a portare speranza e sollievo dove è possibile”. Una testimonianza che arriva come un appello: la popolazione di Gaza, stremata da anni di violenza e privazioni, continua a sperare che la comunità internazionale non volti lo sguardo altrove.