“L’appello missionario che stiamo vivendo nell’ascolto e nel discernimento emerso dalla Chiesa in questi anni di cammino sinodale ci riporta ad una essenziale verità: l’uomo del nostro tempo non può fare a meno di Cristo, di lasciarsi attrarre da lui e di condividere quella vita divino-umana che il Crocifisso Risorto rivela nel Vangelo e che sola è capace di spegnere la sete che è nel cuore di ognuno. È davanti ai nostri occhi il dramma di un’umanità piegata su di sé, incapace di ritrovare la via dell’interiorità e per questo disorientata nel riconoscere la dignità di sé e dell’altro”. Lo scrive mons. Davide Carbonaro, arcivescovo metropolita di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, nella lettera per l’inizio dell’anno pastorale 2025-2026. “Dio nessuno lo ha mai visto solo il Figlio che è in relazione con il Padre lui lo ha rivelato” il titolo, “Cristo rivela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione (GS 22)”, il sottotitolo.
Dire “Dio” e dire “uomo” è stato “da sempre il crocevia della riflessione teologica e della speculazione umana. La professione della fede non è una realtà statica, ma dinamica: dice di noi, della nostra relazione con Dio e della relazione che il Padre ha instaurato con noi attraverso il suo Figlio Gesù”. Ecco, spiega il presule, “da dove desideriamo recuperare il termine ‘relazione’ che accompagnerà il cammino della nostra Chiesa diocesana nei prossimi anni. Si tratta appunto di quella prossimità che apprendiamo nella rivelazione biblica e in modo determinante nel Vangelo. L’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, non è stato abbandonato a se stesso, ma è stato messo in quella condizione di prossimità con Dio, con il fratello e con se stesso”.
Ricordando le parole di Leone XIV durante l’incontro con i vescovi italiani, mons. Carbonaro evidenzia che la “relazione con Cristo è il presupposto per la pace oggi tanto desiderata in ogni angolo della terra e in ogni nascosta ferita del cuore umano. Solo Cristo, il Re della pace, può sanare ferite, rigenerare cammini interrotti, agganciare le solitudini, restituire la gioia e la speranza”.
“Anche la nostra Chiesa diocesana – prosegue – è chiamata a riprendere lo stile sinodale, a rimettersi intorno a Cristo e alla sua Parola per rileggere la sua storia e fare memoria, ricordando che la salvezza passa attraverso le nostre fragilità, le incongruenze, gli stessi peccati. Occorre riaccendere quello stupore che ci rapisce e che riporta a Cristo, l’unico per il quale vale spendere la vita dopo averlo incontrato, aiutando i fratelli e le sorelle ad incontrarlo”.
L’arcivescovo evidenzia: “Dio solo sa quanto la nostra Chiesa diocesana abbia bisogno di riconciliazione, di risanare le sue relazioni nel presbiterio, tra gli operatori pastorali, tra i movimenti e le associazioni e nella stessa società civile. Non abbiamo bisogno di battitori liberi, ma di profeti: uomini e donne che incarnano insieme il Vangelo, generando relazioni vitali affidabili. Qui si gioca la comunione che strappa dalle solitudini e dalle autoreferenzialità, dalle false identità che fanno appello al religioso e alla pietà popolare solo per il beneficio del momento e per l’autogratificazione del gruppo di appartenenza”. Di qui l’invito: “Superiamo i piccoli e i grandi confini perché la solidarietà e la sussidiarietà, che nascono dall’amore e non dal possesso e dal controllo, possano rendere abitabile la nostra casa comune, meno sfruttata e più amata. Non abbandoniamo le giovani generazioni a se stesse, dismettendo il nostro impegno ad entrare in dialogo e in ascolto: lo richiede la dignità umana ed il Vangelo. La santità è possibile per tutti, non è un ideale, ma un cammino cuore a cuore con Colui che conosce il cuore umano più di tutti noi e meglio di qualunque altro”.