“Pochi giorni prima di salutare questo mondo don Oreste Benzi mi confidò che stava per salire in Cielo. Tornavamo da Napoli e durante il viaggio in macchina mi rivolse una specie di raccomandazione che suonava come un testamento spirituale. Disse che per essere felici e fedeli alla vocazione evangelica bisogna costantemente ‘tenere un occhio fisso su Gesù e l’altro sui poveri'”. Lo scrive oggi sul quotidiano Avvenire don Aldo Buonaiuto in occasione del Centenario di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. Per il sacerdote “il chiodo fisso” del Servo di Dio definito da Benedetto XVI “infaticabile apostolo della carità” era “soltanto Gesù da cui attingeva una forza straordinaria per donarsi instancabilmente agli ultimi della terra”. Per don Buonaiuto lo “schema di vita” di don Oreste Benzi, “conteneva i punti nei quali ogni membro della comunità poteva riconoscere la propria vocazione e il particolare carisma in risposta alla chiamata del Signore a servirlo attraverso la condivisione diretta, seguendo una vita da poveri, facendo spazio alla preghiera e alla contemplazione, sperimentando con gioia l’obbedienza e la fraternità”. Gli italiani – aggiunge – hanno conosciuto “più da vicino don Oreste quando i programmi televisivi cominciarono a invitarlo con maggior frequenza. Lui non si tirava indietro, anzi considerava qualsiasi strumento di comunicazione come un’opportunità per dare voce a chi non aveva voce e quindi per farsi profeta denunciando con forza quelle che lui definiva ‘ingiustizie insopportabili’. La sua ferma intenzione era quella di rimuovere le cause che provocavano le iniquità individuali e collettive colpendo i fabbricanti di tante croci insopportabili”.