Oggi, mercoledì 30 luglio, ricorre l’anniversario del Decreto generale di incarcerazione contro i rom, un provvedimento redatto nel 1749 da Zenón Somodevilla y Bengoechea, marchese di Ensenada, e Gaspar Vázquez de Tablada, arcivescovo di Oviedo, membri del Consiglio di Castiglia durante il regno di Ferdinando VI. Per l’occasione, la Pastorale gitana della diocesi di Madrid organizza una messa alle 19 nella parrocchia di San Francisco de Paula.
L’Eucaristia sarà offerta in suffragio universale per i rom morti nel tentato genocidio del cosiddetto “Grande Rastrellamento” e per tutti coloro che hanno sofferto ingiustamente a causa di questo provvedimento. L’obiettivo è onorare la memoria delle vittime, chiedere perdono a Dio per questi crimini, promuovere la riconciliazione e riaffermare l’impegno della Chiesa per la giustizia e la dignità di tutte le persone, in particolare di coloro che sono stati storicamente emarginati.
La Pastorale gitana di Madrid incoraggia i fedeli e i cittadini a unirsi nella preghiera e nella solidarietà, ricordando che la memoria è una via verso la giustizia, il perdono e la speranza.
Nella notte tra il 30 e il 31 luglio 1749, un’operazione coordinata in tutto il regno fu lanciata per imprigionare tutte le famiglie rom in Spagna. Soldati e autorità separarono gli uomini dalle donne e i bambini dai genitori: gli adulti furono mandati ai lavori forzati in miniere, arsenali e fabbriche navali, mentre i minori furono affidati a famiglie adottive o rinchiusi in istituti per essere “rieducati”. L’operazione coinvolse circa 9.000 persone, anche se alcune fonti stimano la cifra fino a 12.000, rappresentando oltre i tre quarti della popolazione rom spagnola dell’epoca.
La detenzione durò più di 16 anni, poiché gli ultimi prigionieri non furono rilasciati fino al 1765 per ordine di re Carlo III, che rimase inorridito dal provvedimento. Le condizioni di reclusione e di lavoro forzato erano estremamente dure. Ad esempio, all’arsenale di Ferrol, dei 543 prigionieri trasferiti nel 1749, solo 166 sopravvissero tre anni dopo. Si stima che centinaia di persone siano morte per malattie, maltrattamenti e sfinimento. L’operazione è stata finanziata principalmente attraverso la confisca e la vendita all’asta dei beni delle famiglie rom detenute, che avevano abitazioni permanenti e persino piccole attività commerciali.