
Mezzo secolo dalla fondazione del Centro della famiglia di Treviso, cinquant’anni accanto alle famiglie. Un anniversario importante quest’anno ricordato con una serie di iniziative attorno allo slogan “Storia e futuro con al centro la famiglia”, a ribadire l’impegno dell’Istituto di cultura e pastorale della diocesi di Treviso di essere al passo con le sfide sempre nuove delle relazioni familiari, a servizio del bene comune. Il Centro della famiglia di Treviso è un istituto diocesano civilmente riconosciuto, fondato a metà degli anni ’70 da don Mario Cusinato. Il Centro opera secondo un approccio interdisciplinare in tre principali ambiti di azione, che ne fa un unicum sul territorio dove insiste: la formazione (al matrimonio religioso e civile, con la Scuola di formazione familiare e i gruppi sposi), la cura, attraverso il Consultorio familiare socio-sanitario, e la promozione della cultura della famiglia (rappresentanza, politiche familiari, analisi statistica), anche attraverso l’Osservatorio Natalità e Famiglia, del quale è soggetto co-fondatore. A raccontarci l’esperienza della Scuola di formazione per le famiglie che vogliono essere protagoniste della vita civile e pastorale e che hanno scelto di alimentare insieme la speranza è don Francesco Pesce, direttore del Centro della famiglia.

(Foto don Francesco Pesce)
Cinquant’anni per il Centro della famiglia: un anniversario importante…
In tutte le iniziative promosse abbiamo la famiglia del centro, alcuni appuntamenti non sono celebrativi ma vorrebbero essere propositivi. Il Centro è nato ad opera di don Mario Cusinato, prete di Treviso e docente di Psicologia della famiglia all’Università di Padova. L’obiettivo era di prendersi cura delle famiglie e formare gli operatori pastorali. Uno dei riferimenti è stato l’invito rivolto alle diocesi da parte della XII Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana attraverso il documento “Evangelizzazione e sacramento del matrimonio” ad aprire un centro per la formazione degli operatori di pastorale familiare. Questa è stata una delle intuizioni. L’altra è legata allo stabile dove siamo adesso: era un centro studentesco e oratorio per la città e l’intuizione è stata quella di capire che non possiamo lavorare solo sui ragazzi se dietro non ci sono delle famiglie formate, quindi l’idea è di lavorare sulle famiglie e sulla formazione delle famiglie. Questioni tuttora cruciali: don Cusinato è stato un antesignano.
Avete accompagnato tante famiglie in questi anni?
Solo negli ultimi dieci anni ci sono state mille coppie preparate per il matrimonio.
La Scuola di formazione quando nasce?
Questo è il 32° anno. Era nata esplicitamente per formare le coppie accompagnatrici della formazione al matrimonio. Per scelta del fondatore, e mi sembra anche questa una cosa interessante, la formazione delle coppie viene fatta da coppie. Anche io non entro direttamente nella formazione, lavoro con i formatori. All’inizio la Scuola durava un biennio, poi si è allungata a tre anni attorno all’idea di diventare competenti nelle relazioni, quindi imparare a prendersi cura non solo delle persone ma delle relazioni tra le persone. Questa è un po’ l’intuizione fondamentale, con l’obiettivo di formare a quello che chiamiamo protagonismo familiare, quindi famiglie che sono soggetti nella società e nella chiesa, famiglie che si tirano su le maniche e fanno la loro parte, soprattutto nello stile familiare: quindi famiglie che si prendono cura di altre famiglie, in relazione con altre famiglie.

(Foto don Francesco Pesce)
Come si struttura il triennio?
Il primo anno è dedicato a prendersi cura della relazione di coppia. Il secondo anno a prendersi cura della relazione genitoriale, quindi della relazione con i figli. E il terzo anno a prendersi cura delle relazioni con le altre famiglie, nella Chiesa e nella società.
In questi anni avete visto anche dei risultati concreti della Scuola?
Un risultato è che le coppie ci dicono: “Da quando abbiamo partecipato alla Scuola, il nostro matrimonio è cambiato, la nostra famiglia è cambiata”. Un altro risultato è costituito da queste piccole reti di famiglie che si creano. Infatti, la formazione viene fatta a piccoli gruppi di 6-8 coppie e sono relazioni che restano. Quindi diventa una rete di solidarietà, di confronto, nello stile familiare, coppie che si mettono a fianco di altre coppie. Ci sono coppie di formatori che hanno 50, 55, 60 anni, che se hanno dei problemi vanno a parlare ancora oggi con le loro coppie tutor che hanno avuto durante la Scuola e che adesso hanno 70/80 anni. C’è una solidarietà verticale e orizzontale, che si crea tra le coppie.
“Quando siamo insieme ad altre famiglie ci sentiamo più famiglia”: sento continuamente questa affermazione.
Rompere un po’ l’individualismo familiare fa essere più famiglia.

(Foto don Francesco Pesce)
Il 2025 è l’anno del Giubileo dedicato alla speranza. Il vostro percorso aiuta, grazie anche a queste reti, a generare una speranza concreta in un mondo difficile?
Le coppie ci dicono che attraverso queste piccole reti tra famiglie riacquistano fiducia, tornano a casa più sereni, affrontano la vita meglio. Non si lasciano prendere dalla centrifuga settimanale. Vedo questo aspetto anche nelle coppie della formazione matrimonio. Il fatto di avere degli strumenti per lavorare sulla propria relazione di coppia dà speranza.
L’amore non è solo un sentimento, ma è qualcosa su cui possiamo lavorare, farlo crescere, è una storia.
Quante coppie sono impegnate in questa formazione di altre coppie?
Nella Scuola di formazione familiare sono impegnate una quindicina di coppie ogni anno, perché abbiamo tutti e tre gli anni in contemporanea, quindi abbiamo tre coppie di formatori per ogni anno, più una coppia di coordinatori, più altre coppie dedicate all’accoglienza, alla preghiera. Ci sono, poi, molte altre coppie impegnate nella formazione matrimonio. Ogni anno sono tra le 60 e le 80 coppie di formatori impegnate. Per fortuna c’è tantissima disponibilità. Molte coppie dicono: “Abbiamo ricevuto tanto, vogliamo restituire. Abbiamo visto che la Scuola è stata importante per la nostra coppia, vorremmo che altre coppie facessero la nostra esperienza”.

(Foto don Francesco Pesce)
Ci sono riflessi anche a livello di protagonismo nella vita civile e nella pastorale?
Sì, il terzo anno è dedicato proprio a questo: a guardarsi attorno e imparare che la cura del mondo e la cura della famiglia sono due cose che vanno insieme. A uno degli incontri quest’anno io ho domandato: è possibile prendersi cura della propria famiglia con le porte di casa chiuse? Stiamo lavorando su questo mostrando come la cura del bene comune e la cura della propria famiglia vanno insieme, non c’è l’una senza l’altra. Per l’impegno a livello ecclesiale e civile, contiamo molto sul fatto che non è una questione di volontariato, ma è parte del ministero della coppia e fa parte della stessa famiglia. Le coppie che fanno un servizio al Centro della famiglia sono una minoranza di tutte quelle che si formano alla Scuola, la maggior parte è impegnata o a livello pastorale nelle parrocchie o anche a livello civile, perché noi lavoriamo con i comuni, stimoliamo anche un lavoro con le scuole. Anche quest’anno abbiamo tre laboratori con le coppie, uno sul mondo dello sport, uno sul mondo della scuola e uno sull’amministrazione comunale. Le coppie devono fare interviste, raccogliere materiale con i protagonisti di questi ambienti e poi lavoriamo insieme su come essere presenti da protagonisti in tali ambienti. Famiglie come fermento della società è quello che chiede anche Papa Leone, che recentemente ha detto che noi cristiani dobbiamo essere il fermento della società. Questa è pure l’espressione di Papa Francesco per il Giubileo, un’alleanza sociale per la speranza. Con il Centro vogliamo fare progetti insieme con le scuole, l’Azienda sanitaria, i Comuni, essere alleati, portare la nostra presenza di Chiesa dentro il mondo in maniera professionale, competente. Cerchiamo di comunicare alle coppie una amicizia sociale. Siamo insieme ad altri, non siamo gli unici detentori delle cose giuste.
Avere le mani in pasta, diciamo.
Sì, questo è uno stimolo.
È bello, ci sono coppie che si entusiasmano, che si interessano di quello che succede nei loro Comuni. C’è chi si candida come consigliere, assessore, a partire da questo lavoro che facciamo.
- (Foto don Francesco Pesce)
- (Foto don Francesco Pesce)
La Scuola presenta qualche altra particolarità?
Ogni annata della scuola si conclude con una settimana residenziale in montagna. Ad agosto abbiamo tre settimane residenziali con le famiglie, una per ogni annata, dove si fa sintesi dell’anno, si va un po’ a fondo. Questo crea moltissima solidarietà, legame tra famiglie. Le famiglie fanno anche un po’ di vacanza insieme perché noi facciamo la mattina attività, il pomeriggio è libero, si organizzano camminate. Però siamo convinti che sia formativo anche questo aspetto. Poi si torna sugli argomenti affrontati, si chiacchiera. Ci sono tutti i figli, abbiamo un gruppo di adolescenti che viene a fare l’animazione dei figli. La cosa interessantissima è vedere come tanti adolescenti vogliono venire a fare gli animatori, fanno qualcosa di utile con i bambini e osservano molto gli adulti. A me piace chiedere a questi adolescenti cosa ne pensano delle coppie partecipanti. Da osservatori danno dei soprannomi, capiscono quella coppia com’è, parlano con loro. Anche per gli adolescenti diventa un’occasione per conoscere figure di adulti che si impegnano. Mi ricordo di una ragazza, ora all’Università. È venuta come animatrice durante tutti gli anni delle superiori, anche qualche anno dell’Università. Io le ho chiesto perché ha voluto passare una settimana estiva con noi e mi ha risposto:
“Perché qui vedo che si può essere donne realizzate a livello professionale e anche madri”.
Bellissimo, questi sono segni di speranza concreti che aprono il futuro.

(Foto don Francesco Pesce)