Coronavirus Covid-19. La Caritas di Torino ai volontari: “Né fare gli eroi, né ritirarci sull’Aventino”

Pubblichiamo la lettera del direttore, Pierluigi Dovis, in cui si rivolge a quanti prestano servizio volontariamente per i più poveri, in un territorio, come quello piemontese, considerato dal Governo "Zona rossa". Le indicazioni per le attività dei Centri e degli stessi volontari sono esemplificative dell'impegno delle Caritas in realtà in cui il contagio da Covid-19 è particolarmente diffuso

foto SIR/Marco Calvarese

Carissimi volontari di carità,
come avete potuto apprendere l’ultimo Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre e il provvedimento del ministero della Salute del giorno successivo hanno identificato il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Lombardia e la Calabria quali territori ad alto grado di attacco del virus Covid-19. Siamo stati classificati come zona rossa e, pertanto, sottoposti a limitazioni molto restrittive a partire da venerdì 6 novembre e fino al 3 dicembre prossimo. Ce lo aspettavamo anche se, in estate, avevamo iniziato ad abituarci all’idea che il peggio fosse ormai alle spalle. Come operatori di carità la “reclusione” ci interpella fortemente. Le domande che affiorano alla nostra mente riguardano anzitutto noi stessi, fino a far emergere impietosamente tutte le nostre fragilità talora ben nascoste. Ci sentiamo interpellati soprattutto da un dilemma: resistere spavaldamente al virus o cedere pavidamente alla nostra paura? Per affrontare una domanda così profonda è bene che ce ne poniamo un’altra: cosa ci chiede il Signore? Perché la vita e il servizio che rendiamo non è solo “cosa nostra” ma soprattutto dono suo.

Penso che il Vangelo ci suggerisca né di fare gli eroi, né di ritirarci sull’Aventino.

Ci chiede di curare la disposizione del cuore verso il fratello, svincolandoci dalle solite modalità e di mantenere le posizioni di servizio con prudenza, consapevolezza, confronto, onestà.

L’impegno della Caritas nella pandemia. Prendiamoci molta cura delle attenzioni che possono aiutare la realizzazione del servizio anche in maniera diversa dal solito senza mettere a repentaglio il dono della salute nostra e dei nostri poveri. Proprio per aiutarci in questo discernimento – che, chiaramente, va condotto situazione per situazione – vi propongo alcune attenzioni di fondo che ricalcano quelle già adottate nel marzo scorso e che ci hanno consentito, non senza fatica, di stare sulla breccia: massima attenzione alla cura della sanificazione di persone e ambienti, intensificando e rendendo più cogente quanto già fatto nei mesi scorsi, con particolare riferimento all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale quali mascherina e guanti; cura al distanziamento tra le persone che si trovano nello stesso luogo di servizio ma con l’impegno a non farlo diventare allontanamento dal cuore delle persone; non dimenticare il monitoraggio attento delle nostre ed altrui condizioni esterne di salute, curando di tenere memoria di coloro che incontriamo e di chi è contemporaneamente presente nello stesso ambiente di servizio utilizzando anche i sistemi tecnici che abbiamo a disposizione; continuo aggiornamento su approfondimenti che il legislatore farà uscire di tanto in tanto.

Alcuni suggerimenti operativi. Operativamente ecco alcuni suggerimenti – non imposizioni – circa le specifiche attività caritative in questo secondo lockdown. Centri di Ascolto: suggeriamo di utilizzare in maniera prioritaria la modalità a distanza, tramite telefono o videochiamata, riservando a situazioni particolari l’incontro diretto di persona con tutte le precauzioni che ben conosciamo. Quindi l’ascolto non chiude, ma adotta modalità differenti. Tra queste due suggerimenti: mai dimenticarsi di tenere memoria scritta dei colloqui telefonici e avere il desiderio di fare noi il primo passo contattando quelle persone che già conosciamo e di cui sappiamo la maggiore fragilità. Mense di carità: riteniamo che il loro servizio possa continuare, non essendo paragonabile a quello di un ristorante, ma più assimilabile a una mensa aziendale. Curiamo molto la sanificazione degli ambienti, anche i servizi igienici che spesso sono gli unici utilizzabili dalle persone senza dimora. Se è previsto il servizio al tavolo teniamo fermi i criteri di accesso e il distanziamento, se utilizziamo forme di take away facciamo in modo che gli ospiti non consumino il cibo nelle immediate vicinanze o riuniti a gruppi di persone. Distribuzione alimentare ed empori solidali: riteniamo che il servizio di distribuzione possa continuare con le precauzioni già adottate e con la massima attenzione a non creare assembramenti magari istituendo turni precisi. Suggeriamo alle persone che vengono di munirsi di autocertificazione sulla quale possono giustificare con la dicitura bisogni personali di sussistenza, così come se si recassero al supermercato.

L’importanza della collaborazione. La richiesta di questo tipo di aiuto potrebbe aumentare anche di molto: è bene provare a coordinarsi con altre realtà che sullo stesso territorio fanno servizi simili, per evitare che alcuni abbiano troppo e ad altri manchi il necessario (anche in questo caso un minimo di monitoraggio con gli strumenti informatici a nostra disposizione è molto utile, anzi necessario: registrate chi incontrate per avere contezza del carico di lavoro cui andate incontro). Ricordiamoci, però, che non è possibile mettere in comune con altri enti generi alimentari provenienti da canali quali il Banco Alimentare perché sono direttamente legati a donazioni da parte dello Stato: chi riceve deve anche distribuire. Come pure usiamo molta prudenza nel mettere a disposizione di enti terzi, specie se istituzionali, dati personali dei nostri ospiti: non siamo certi dell’utilizzo che ne potrebbe venire fatto.

Gli altri servizi. Accoglienze: i servizi di dormitorio o quelli che prevedono vita comunitaria cerchino di ridurre al minimo l’uscita ingiustificata degli ospiti allo scopo di proteggerli al massimo. Se escono per andare in mensa ricordiamoci di fornire loro il foglio di autocertificazione. Facciamo anche attenzione alle indicazioni che provengono da comuni, enti gestori dei servizi o regione anche se, al momento, non siamo obbligati ad adeguarci. Provvedano a dotarsi di un piccolo ambiente in cui veicolare persone che non si sentono bene in attesa dell’arrivo dei sanitari. Visita domiciliare: sia limitata alla consegna di beni essenziali senza ingresso in casa, recuperando la parte importante della relazione con telefonate o videochiamate. Centri diurni, laboratori di reinserimento e altre forme di socializzazione in centri semiresidenziali è meglio siano sospesi nella fase acuta del lockdown, salvo diversi accordi presi con le realtà locali. Ricordiamoci che la registrazione degli ospiti incontrati – specie nei servizi in presenza – è anche una forma di tutela della salute: funge da tracciamento per recuperare, se fosse necessario, le persone venute in contatto con un eventuale positivo. Teniamo anche un elenco della presenza dei volontari, sempre per la medesima finalità.

La preghiera. Il nostro impegno da solo non può arrivare a risolvere la situazione. Occorre la dolce mano di Dio che, nella sua misericordia, abbia piena compassione di noi e ci guidi a salvezza. Il nostro arcivescovo ci ha sollecitati alla preghiera del rosario ogni sabato pomeriggio (anche comunitariamente prima della celebrazione eucaristica prefestiva). Aderiamo al suo invito con convinzione portando ogni volta nel cuore il volto e il grido dei fratelli più poveri cui siamo mandati e aiutando le comunità a pregare per i più poveri. Il Signore, che non è sordo alla voce dei suoi figli, non ci lascerà mancare quanto ci occorre per fare esperienza di risurrezione. Coraggio!

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