Pace: Caritas italiana e Ufficio Cei problemi sociali e lavoro, “non rassegnarsi al cinismo delle armi e al fatalismo dei conflitti”. Appelli alle istituzioni, ai media e alla società civile

(foto: Caritas italiana)

“Siamo chiamati a scegliere. Siamo chiamati a scegliere la pace ogni giorno, a svelare la verità, a stare nella complessità del conflitto e della realtà senza mai banalizzare”. Con queste parole si è concluso il seminario nazionale “Educare alla pace in tempi di guerra”, promosso da Caritas italiana e dall’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, che per tre giorni ha riunito a Frascati operatori pastorali delle diocesi in Italia. L’evento è stato una prima risposta all’invito che Papa Leone XIV ha rivolto ai vescovi italiani lo scorso 17 giugno chiedendo “che ogni diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro”.
La pace, si legge in una nota di Caritas italiana, “non è sinonimo di sicurezza, se per sicurezza si intende la militarizzazione dei confini, la corsa agli armamenti, l’esternalizzazione delle frontiere che ci riguarda da molto vicino. Attualmente, sono 56 le guerre che feriscono il mondo e che continuano a distruggere i sogni, le storie, le relazioni, le vite umane. La guerra è patologia del conflitto, fallimento della politica: non risolve nulla, è solo funzionale alla ridefinizione del potere, all’eliminazione dell’altro”.
“Ripartiamo dalle parole e dal loro significato, perché – come ricorda la Pacem in Terris – la pace si fonda sulla verità, sulla giustizia, sull’amore e sulla libertà. Non c’è pace possibile se non radicata nella verità che la storia ci consegna e che interpella la nostra coscienza”, ha affermato don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana: “Come persone, come comunità, siamo chiamati a disarmare le parole, a studiare e informarci per abitare la complessità del nostro tempo. Non agire, restare fermi come se la Storia non fosse anche conseguenza delle nostre piccole scelte, equivale a schierarsi con chi opprime. È tempo di scelte etiche e coraggiose”.
La pace si costruisce dal basso e ciascuno, credente o non credente, è chiamato a farsi responsabile, a non delegare, a non cedere all’indifferenza. Tra le molte proposte dei partecipanti è emerso il sostegno all’istituzione di un Ministero della Pace e la creazione di tavoli di confronto che, con le diverse componenti della società civile, sappiano individuare percorsi e soluzioni concrete come alternative alla guerra e al riarmo. “Non rassegniamoci al cinismo delle armi e al fatalismo dei conflitti. La Chiesa è chiamata a formare coscienze critiche, capaci di denunciare le ingiustizie e di generare percorsi di riconciliazione”, ha detto don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei: “Oggi, educare alla pace significa resistere al pensiero unico, assurdo e dominante che vede nella guerra la strada per arrivare alla pace”.
Quindi una serie di appelli: alle istituzioni, “l’invito a non considerare la guerra come inevitabile per risolvere i conflitti internazionali” a partire “dalle piccole decisioni”; ai media, per “contribuire alla formazione di cittadini consapevoli, attenti, a svegliare dal sonno delle coscienze per non generare mostri”; alla società civile e ai cristiani per creare “percorsi di pace strutturati, vivi, inclusivi, che rispondano alle esigenze del nostro tempo. Formiamo dei cittadini e cristiani capace di vivere ogni conflitto, abitare le frontiere”.

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