Il 77% dei venezuelani pensa che sia necessario un cambiamento politico. Il dato è emerso all’Università Cattolica Andrés Bello (Ucab), durante l’evento “Prospectiva Venezuela – I semestre 2026” organizzato dal centro di studi politici e di governo Francisco José Virtuoso S.J. dell’Ateneo, al quale hanno partecipato i cardinali Diego Padrón e Baltazar Porras, il presidente della Conferenza episcopale venezuelana, mons. Jesús González de Zárate, il superiore generale della Compagnia di Gesù, padre Alfredo Infante. Erano presenti anche membri del corpo diplomatico, imprenditori e rappresentanti di diversi settori della società civile. Aprendo l’evento, il rettore, padre Arturo Peraza, ha precisato che “la Chiesa è unitaria e c’è un legame molto forte tra vescovi, sacerdoti, e credo che anche la maggioranza dei laici condivida questa visione. Evidentemente ognuno dà la sua enfasi, ma il senso di unità si mantiene”. Ha aggiunto che la società venezuelana deve cercare di trovare e promuovere il dibattito; e questo è precisamente l’esercizio che spetta a un’università. In tale contesto, sono stati presentati i risultati di uno studio privato di opinione e percezione pubblica, commissionato alla società Delphos esclusivamente per questo evento. Tra i risultati dello studio, si menziona, ad esempio, che la speranza della popolazione riguardo al futuro del Venezuela è aumentata, sebbene allo stesso tempo la maggioranza ritenga che la situazione del Paese sia peggiorata, specialmente a causa dei problemi economici, che costituiscono la loro principale preoccupazione. Per quanto riguarda la necessità di un cambiamento politico, la maggioranza degli intervistati (77%) pensa che sia necessario, includendo un’alta percentuale di coloro che si auto identificano come simpatizzanti del chavismo, come un modo per risolvere i problemi economici del Paese. Allo stesso modo, i venezuelani continuano a mostrare una maggiore disposizione d’animo verso la protesta pacifica, anche se persiste il timore della repressione, se dovessero concretizzarla. Infatti, questo timore è per le persone il principale inibitore delle proteste e delle mobilitazioni pacifiche. Due intervistati su tre dichiarano di non essere d’accordo con le sanzioni. Tuttavia, la maggioranza (61%) non crede che le sanzioni siano la causa dei problemi economici del Paese. Ma rimane viva l’aspettativa, in tutti i settori, indipendentemente dallo spettro ideologico o partitico, che “qualcosa succederà”, a breve termine, anche se nessuno sa esattamente cosa.