Madre uccide figlio a Muggia: Rizzi (Soleterre), “Giovanni non è morto solo per la malattia psichica della mamma, ma perché la rete non ha tenuto”

(Foto Fabio Bucciarelli)

“Il figlicidio è una delle forme più estreme di violenza: è quando un genitore, travolto dal proprio dolore psichico, non riesce più a vedere il figlio come figlio. In chi vive una crisi psicotica succede questo: la realtà si rompe. Chi è l’altro? Chi sono io? Cosa è pericolo e cosa non lo è? Tutto si confonde”. Lo dice al Sir Damiano Rizzi, psicologo clinico e presidente di Soleterre, commentando la tragedia che si è consumata, la sera del 13 novembre, a Muggia in provincia di Trieste, dove una donna ha ucciso il figlio di 9 anni, tagliandogli la gola con un coltello da cucina.
“A volte – prosegue Rizzi – la mente arriva a credere che il bambino sia una minaccia o che, eliminandolo, si elimini il dolore. È qualcosa di simile a quando una persona si toglie la vita per mettere fine a un tormento troppo forte. Solo che qui quel tormento viene proiettato sull’altro”.
Nel caso di Trieste, per lo psicologo clinico, “i segnali c’erano tutti: la fragilità psichica della madre, le minacce (‘se muoio io muore anche lui’), gli allarmi del padre, i servizi che perdono contatto. È lì che si vede il problema: la rete che avrebbe dovuto proteggere il bambino non ha retto”.
Rizzi precisa: “Un figlicidio avviene quando tre cose si incastrano insieme. Fragilità psichica grave, l’empatia si spegne, la mente si stringe e il figlio non è più visto come un bambino ma come un problema o un pericolo. Isolamento, quando una persona fragile resta sola, senza occhi intorno, i pensieri distruttivi diventano più forti. Protezione istituzionale debole. Le segnalazioni non bastano: devono trasformarsi in interventi concreti”.
A giudizio del presidente di Soleterre, “questa tragedia non parla solo della madre. Parla di noi. Di un sistema che non ha messo il bambino al centro quando era più necessario farlo. Giovanni non è morto solo per la malattia psichica della madre. È morto perché nessuno è riuscito a proteggerlo davvero”.
“Quando una mente crolla, serve una rete che tenga. E questa rete, questa volta, non ha tenuto”, conclude Rizzi.

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