Giornata mondiale poveri: p. Riggio (Aggiornamenti Sociali), “scardinare una mentalità che etichetta, gerarchizza e scarta”

Siamo chiamati a “scardinare una mentalità che etichetta, gerarchizza e scarta”, giungendo a uno sguardo rinnovato “che non identifica le persone povere con il loro poco, ignorando tutti gli altri aspetti che fanno parte della loro esistenza”. Un primo passo è uscire dall’autoreferenzialità e “mettersi su un piano di parità e di relazione, rendendo più facile il pieno riconoscimento di ciascuno”. Si può fare a partire dalle parole che scegliamo: invece di pensare e parlare di queste persone utilizzando la parola poveri – che pure ha una grande importanza nella Bibbia e nel pensiero cristiano – “iniziamo a usarne altre non meno significative: fratelli e sorelle”. Lo sottolinea padre Giuseppe Riggio, direttore di Aggiornamenti Sociali, nell’ultimo editoriale in cui richiama l’attenzione su una priorità fondamentale: fare dei poveri non solo l’ultimo anello di una catena sociale, ma soggetti attivi, protagonisti della dignità umana e del bene comune. In occasione della IX Giornata mondiale dei poveri, che si celebra domenica 16 novembre 2025, e partendo dalla Dilexi te, l’esortazione apostolica di Papa Leone XIV sull’amore verso i poveri, Riggio si pone una domanda centrale: “Perché i poveri si ritrovano a occupare gli ultimi posti nella nostra società?”. Per affrontare questo interrogativo è necessario, come sottolineato dal Pontefice, misurarsi con “la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi” (DT, n. 81). L’esistenza di queste cause strutturali però non basta a spiegare la situazione attuale secondo il direttore di Aggiornamenti Sociali: “I meccanismi che regolano il funzionamento dell’economia sono frutto di scelte umane e possono essere modificati, riorientati secondo principi e criteri diversi da quelli attuali”. Papa Francesco parlava spesso “di cultura dello scarto, riferendosi tanto alle risorse sprecate per uno sfruttamento eccessivo del pianeta e a una scarsa cura di ciò che realizziamo, quanto alle persone messe da parte perché non riescono a essere ingranaggi funzionali a un sistema che premia solo alcuni”. Questa mentalità “è penetrata così a fondo nel nostro modo di pensare, al punto quasi da mimetizzarsi, rendendo difficile sia riconoscerla sia riuscire a prenderne le distanze”. Se a decretare in che cosa consiste la vita buona è “l’illusione di una felicità che deriva da una vita agiata”, incentrata “sull’accumulo della ricchezza e sul successo sociale a tutti i costi” (DT, n. 11), per Riggio “finiremo per dividere il mondo tra vincitori e sconfitti, tra chi corrisponde a determinati standard sociali e chi no, tra chi ce l’ha fatta e chi ha fallito”. Ma “il merito, quando è scisso dalla considerazione della storia della singola persona all’interno di una trama sociale ben più ampia, si traduce allora in una meritocrazia distorta, che colpevolizza quanti non riescono, come se ‘la povertà, per la maggior parte di costoro, [fosse] una scelta’ (DT, n. 14)”. “Chi è povero ha poco e può dare poco se si ragiona in termini di reddito, ma questo – conclude Riggio – non è il criterio per definire la sua dignità. Focalizzarsi su ciò che manca o di cui non si dispone a sufficienza conduce a identificare persone e gruppi con le loro povertà, un meccanismo che opera anche in altri ambiti, come l’handicap, la provenienza geografica o l’orientamento sessuale”.

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