Opinioni letali

Se il premio Nobel va ai migliori, l'antipremio Nobel a chi va? E' presto detto, dato che la scorsa settimana gli IG Nobel 2020, in Italia detti anche premi "Ignobel", sono stati assegnati non solo ad eccellenti quanto ignoti ricercatori ma anche a ben noti capi di Stato.

Photo SIR/UE

Se il premio Nobel va ai migliori, l’antipremio Nobel a chi va? E’ presto detto, dato che la scorsa settimana gli IG Nobel 2020, in Italia detti anche premi “Ignobel”, sono stati assegnati non solo ad eccellenti quanto ignoti ricercatori ma anche a ben noti capi di Stato.

Organizzati fin dal 1991 dalla rivista statunitense “Annals of Improbable Research”, gli Ig Nobel hanno l’intento satirico di mettere in luce le ricerche più strane e divertenti dell’anno e si chiudono con una cerimonia all’Università di Harvard (quest’anno solo on line causa pandemia).

Tralasciando l’elenco completo dei premi assegnati ai ricercatori -che presenta aspetti curiosi e a dir poco bizzarri come lo studio sul rapporto tra narcisismo e sopracciglia o tra i baci e il reddito -, ha destato una discreta eco l’assegnazione del premio per l'”Educazione medica”. Un podio affollato, dato che di più nomi è stata data lettura.

Essendo un antipremio non si è trattato di meritevoli luminari, ma di persone che si sono messe in luce per l’anti educazione medica data, veri artefici di diseducazione nello specifico riguardo il Covid 19.

Hanno meritato l’Ignobel 2020: Donald Trump (presidente Usa), Jair Bolsonaro (presidente Brasile), Boris Johnson (Primo ministro del regno Unito), Vladimir Putin (presidente della Russia) e Alexander Lukashenko (presidente della Bielorussia). Motivazione: hanno “usato la pandemia di Covid-19 per insegnare al mondo che i politici possono avere un effetto più immediato sulla vita e sulla morte di quello di scienziati e dottori”. Meditate gente verrebbe da dire, dato che le conseguenze di queste comunicazioni antiscientifiche sono state tragiche come dimostra l’inopinabile rigore dei numeri.

A fronte di una pandemia che nel mondo ha superato i 31 milioni di contagiati e causato quasi 1 milione di morti, questa è la situazione sanitaria nelle citate nazioni (aggiornata a lunedì 21 settembre): Usa quasi 6,6 milioni di contagiati e circa 200 mila morti (paese più colpito al mondo); Brasile 4,5 milioni di contagiati e 137 mila morti (secondo paese più colpito); Russia: 1,1 milioni di contagiati e 20 mila morti (terzo paese più colpito); Regno Unito: quasi 390 mila contagiati e sfiorati i 42 mila morti (12° posto nella classifica dei paesi più colpiti); Bielorussia: quasi 76 mila contagiati e un po’ meno di mille morti (43° posto).

Non stupisca il vedere tra i premiati leader i cui paesi non sono in cima alla classifica: ha inciso, infatti, il modo in cui questi capi di Stato si sono accostati alla pandemia e quali messaggi hanno rivolto ai loro connazionali.

Il bielorusso Lukashenko, a metà di marzo, definiva il coronavirus una “psicosi” e invitava ad andare al lavoro: “Il trattore guarirà tutti, i campi guariranno tutti”, suggerendo la vodka come “il miglior farmaco antivirale”.

Non è ripetibile l’esternazione ricorrente del premier inglese Johnson che, prima di ammalarsi, puntava tutto sull’immunità di gregge per la sua isola mandando il virus “a quel paese” (diciamo così). Risultato? I numeri sopra riportati e la minaccia di secondo lockdown ancora vagante.

Lo stesso vale per Putin che da una parte ha sminuito il virus (un russo su tre non crede all’epidemia), ma dall’altra è in gara con Usa e Cina per un vaccino già annunciato (l’economia vale più della pandemia).

Negazionisti convinti sono stati sia il brasiliano Bolsonaro, poi ammalatosi, sia lo statunitense Trump sulle cui ormai imminenti elezioni (3 novembre) la pandemia getta la sua ombra pesante.

Molto ci sarebbe da dire circa la responsabilità di chi si pone alla guida di un paese, come di quella di ciascun cittadino quando esercita il suo diritto di voto.

Allo stesso modo non va dimenticato che anche in Italia – se pure in piazza all’inizio di settembre la manifestazione da essi organizzata è stata un flop – sui social i negazionisti viaggiano alla grande: sarà perché nessuno è mai stato contagiato dalla propria tastiera.

Non esiste il reato d’opinione (e grazie al cielo), eppure non si può dire che certe opinioni non possano dimostrarsi letali.

(*) direttore “Il Popolo” (Pordenone)

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