Green pass sul posto di lavoro. Faioli (Un. Cattolica): “Strumento di ulteriore tutela, si proceda con contrattazione collettiva”

Il Governo ha deciso che per ora la certificazione verde, in ambito lavorativo, è obbligatoria solo nelle scuole e nelle università. Ma nelle prossime settimane ci sarà un’ampia estensione, nel pubblico impiego e nel privato. Il nodo, per il giuslavorista e consigliere Cnel, è l’introduzione del potere in capo al datore di lavoro di verifica del green pass: si tratta di bilanciare poteri, obblighi e diritti, per evitare abusi

(Foto ANSA/SIR)

Per l’introduzione del green pass nel mondo del lavoro e la relativa verifica da parte del datore di lavoro “già oggi, in attesa della norma di legge, si può procedere con contrattazione collettiva in attuazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro. Questa autorizza le parti a negoziare sulle misure di tutela”. Ne è convinto Michele Faioli, professore associato di diritto del lavoro all’Università Cattolica del Sacro Cuore e consigliere esperto del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel).

Nell’ambito lavorativo, per il momento, il green pass è obbligatorio solo nelle scuole e nelle università. Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il decreto legge che estende l’obbligo di certificazione verde soltanto a poche categorie di lavoratori – il personale esterno di scuola e università –, mentre ha introdotto l’obbligo di vaccino per chi lavora nelle Rsa, anche come esterno. Si tratta di un primo passo, in continuità con la linea del rigore fin qui percorsa e in attesa di un’ampia estensione dell’obbligo della certificazione che arriverà nelle prossime settimane. La convinzione del presidente Draghi, espressa chiaramente alcuni giorni fa in conferenza stampa, è rimasta inalterata: l’obbligo di green pass “verrà esteso” ad una platea di lavoratori sempre maggiore. La direzione è indicata, si procede e si discute “non ‘se’, ma ‘a chi’ e quanto svelti”. Quindi, per un provvedimento che riguarderà chi lavora nei bar e nei ristoranti, nel pubblico impiego e nelle aziende private, è solo questione di tempo.

Professore, cosa ne pensa dell’introduzione del green pass nel mondo del lavoro?
Se il green pass è uno strumento che tutela più efficacemente la salute dei lavoratori allora va trovato il modo perché sia attuato pienamente. C’è una minoranza che è contraria, per la quale va trovata una soluzione. Ma non può una minoranza dettare le regole sulla maggioranza sapendo, tra l’altro, che – come ci dice la scienza – le regole della minoranza sono molto pericolose. Come ha detto il presidente Mattarella, la libertà di coloro che non vogliono vaccinarsi è pericolosa perché incide negativamente sulla sicurezza e sulla salute di tutti gli altri.

Quella dell’obbligatorietà della certificazione verde è l’unica strada possibile?
In questo momento i governi europei sono davanti a questo bivio: o introducono l’obbligo vaccinale per tutti i lavoratori del pubblico e del privato, così come esistono obblighi vaccinali generalizzati o settoriali e come avviene già in Italia laddove si ritiene necessario, o introducono uno strumento che incentivi la vaccinazione. Questo strumento indiretto, nel caso dell’attuale pandemia, si chiama certificazione verde che i governi, compreso il nostro, stanno cercando di valorizzare introducendo l’obbligo di possesso del green pass per l’accesso anche nei luoghi di lavoro. E qui c’è un punto delicato.

Quale?
Quello relativo all’introduzione del potere in capo al datore di lavoro di verifica del green pass. Che può essere fatta con una legge. Oppure, come alcuni di noi studiosi dicono,

una introduzione negoziata, cioè con la contrattazione collettiva che deriva dalla norma di sicurezza sul lavoro che già esiste.

In che modo?
La norma autorizza le parti a negoziare sulle misure di tutela di sicurezza sul lavoro, anche in relazione alla pandemia.

Come oggi impone al datore di lavoro la responsabilità di verificare che il lavoratore indossi la mascherina e che sia distanziato di un metro da un collega, così può assegnare al datore di lavoro il potere di verificare chi tra i suoi dipendenti è in possesso del green pass e chi non ce l’ha.

Il datore di lavoro potrebbe anche farlo unilateralmente ma, suggerisco da studioso, è meglio che ciò venga definito nell’ambito di un accordo con il sindacato, cosicché si delimiti anche l’ambito di tale potere datoriale, cosa può o non può fare il lavoratore e quali comportamenti deve tenere un datore di lavoro nei confronti di un dipendente che non voglia esibire il proprio green pass, ammesso che ce l’abbia. Si tratta di bilanciare poteri, obblighi e diritti, per evitare abusi.

Quindi il green pass sul posto di lavoro potrebbe già essere una realtà anche senza un provvedimento di carattere generale?
Sì, se le parti sociali si mettessero d’accordo e procedessero. Tra l’altro, sarebbe anche un’attuazione indiretta del principio di sussidiarietà.

Quando il legislatore non riesce ad intervenire c’è un altro livello di regolazione che, in questo caso, è in mano alle parti sociali (contrattazione collettiva). Il mio auspicio è che lo si faccia.

Ed è bene che si utilizzi per superare forme di blocco, da una parte o dall’altra. Anche perché il fine ultimo è tutelare la dignità e la salute della persona umana.

Quali le conseguenze per chi è contrario? I sindacati hanno espresso il timore che possano esserci sanzioni o addirittura licenziamenti…
Al momento si è parlato di sospensione, aspettativa non retribuita, lavoro agile, procedimento disciplinare e, potenzialmente, licenziamento.

Se il sindacato si siede ad un tavolo e negozia anche le eventuali conseguenze per chi è “no vax” o “no pass” allora le condizioni di questi lavoratori possono essere tutelate più efficacemente. Altrimenti le decisioni verranno prese da qualcun altro.

Come è già successo, per esempio, nel caso di Belluno o di Verona per il quale, sugli operatori sanitari “no vax”, alla fine ha deciso il giudice del lavoro.

Secondo lei cosa si sarebbe dovuto fare per non giungere al punto odierno?
Avremmo potuto evitare la situazione in cui oggi ci troviamo se con l’inizio della campagna vaccinale le parti sociali, riconoscendo il vaccino come misura di sicurezza, avessero aggiornato il protocollo sul sicurezza del marzo/aprile 2020, inserendo tra le misure anche il green pass. Avrebbe evitato le attuali polarizzazioni, consentendo di avere uno strumento per svolgere il lavoro in modo più sicuro che si aggiungeva alla mascherina o al distanziamento. Ciò non è accaduto, forse siamo ancora in tempo perché succeda. Ma se la situazione si deteriorasse Governo e Parlamento dovranno fare delle scelte.

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