Quaresima e Coronavirus: veri pastori del loro gregge

Sono tanto fiero di come stiamo reagendo noi preti, anche quando veniamo bersagliati da accuse di viltà, mentre siamo sempre in campo, chi attaccato per ore al telefono, chi esaurendosi in una serie ininterrotta di streaming per non fare sentire abbandonata la gente privata della liturgia; sono fiero dei cappellani ospedalieri e carcerari che mischiano il loro respiro a quello già infetto dei malati e dei morenti; sono fiero dei parroci che non abbandonano la nave, per quanto scalcagnata, della loro parrocchia, e ridotti a poco più che eremiti comunque ci restano, e pregano per i parrocchiani che in chiesa per ora non ci possono entrare

(Foto ANSA/SIR)

Sul sito del Sir è possibile trovare una intervista a un mio carissimo amico, parroco della provincia di Bergamo, che peraltro sto sentendo telefonicamente quasi ogni giorno, visto che si trova nel fulcro della zona rossa.

Sebbene sia stato contento di trovare i suoi pensieri espressi con la profondità che sempre lo contraddistingue da uomo poetico e contemplativo qual è, quanto racconta mi ha straziato il cuore: “Mi è capitato qualche giorno fa di andare a dare l’estrema unzione a una persona che poi è morta soffocata durante il rito: una scena straziante. Due settimane fa, prima dell’ultimo decreto ministeriale, andavo a trovare le persone anziane che mi guardavano terrorizzate e mi dicevano di non andare da loro perché temevano di potermi contagiare. In diocesi sono morti tanti sacerdoti, altri sono ricoverati, alcuni in terapia intensiva. Anche se andiamo con la mascherina, quando entriamo in una casa per dare l’estrema unzione a un malato di polmonite, non ufficialmente Covid-19, è una protezione irrisoria: nella stanza del moribondo non si cambia l’aria da giorni per non fargli prendere freddo e ci sono tanti parenti. Ma andiamo ugualmente per non far mancare il conforto della fede”.

Lo ammetto, sono preoccupato per lui.

Lo so che, in quanto parroco romano, peraltro di un quartiere in cui molti sembrano infischiarsene allegramente delle restrizioni della quarantena, avrei di che preoccuparmi pure qui – ma sono comunque in ansia per lui, e per tutti i suoi confratelli di quelle parti, che non sono semplicemente in trincea, come lo siamo un po’ tutti noi preti di parrocchia: no, loro sono proprio sotto il fuoco nemico.

Sono preoccupato, ma anche tanto fiero.

Sì, amico mio, sono fiero di te.
So di che pasta sei; so che la paura della morte, il motore ultimo di ogni peccato, tu l’ha già pugnalata al cuore con la tua fede e la tua dedizione.

Spero non ti succeda nulla, ma so anche che, se dovesse succederti, sarebbe come vorresti tu, e come d’altronde vorrei io per me: sul campo di battaglia.

Sono tanto fiero di come stiamo reagendo noi preti, anche quando veniamo bersagliati da accuse di viltà, mentre siamo sempre in campo, chi attaccato per ore al telefono, chi esaurendosi in una serie ininterrotta di streaming per non fare sentire abbandonata la gente privata della liturgia; sono fiero dei cappellani ospedalieri e carcerari che mischiano il loro respiro a quello già infetto dei malati e dei morenti; sono fiero dei parroci che non abbandonano la nave, per quanto scalcagnata, della loro parrocchia, e ridotti a poco più che eremiti comunque ci restano, e pregano per i parrocchiani che in chiesa per ora non ci possono entrare.
Quanti preti sto sentendo in questi giorni, da tutta Italia! E quanti esempi bellissimi!

Ieri parlavo dell’eroismo e della santità di cassiere, impiegati e autisti.

Permettetemi di spendere allora una parola anche per l’eroismo e la santità di tanti preti, che non vanno sui giornali… se non, forse, nella forma di foto di necrologi, come a qualcuno è già capitato.
Sono fiero di essere vostro confratello, fratelli miei sacerdoti.
Sono fiero di essere un prete, come voi.

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