Quaresima e Coronavirus: quello che ci fa più paura oggi non è il contagio ma l’ignoto

Il quaranta, numero biblico del deserto, è diventato per noi quanto mai pregnante: non solo i quarant’anni di Israele nel deserto per essere saggiato, o i quaranta giorni di Gesù nel deserto per essere tentato; ora sono anche i giorni, non necessariamente quaranta ma senz’altro quaresimali, della quarantena, tempo necessario di vaglio e catarsi dal possibile contagio. Tempo di isolamento, tempo di distanze dagli affetti, tempo di digiuni (anche liturgici), e proprio per tutto questo anche tempo fecondo di purificazione e di rinascita

foto SIR/Marco Calvarese

Con questo contributo iniziamo un percorso quotidiano di riflessione sullo speciale tempo di Quaresima che stiamo vivendo in una Italia provata dalla emergenza per il Coronavirus. Ad accompagnarci sarà don Alessandro Di Medio, parroco di San Francesco Saverio a Garbatella.


Quaranta giorni di Quaresima: tutti ci aspettavamo più o meno come si sarebbero svolti, vero? Propositi più o meno spropositati e velleitari, un rigore ascetico tascabile, qualche piccola rinuncia, forse – perché no? – anche qualche piccola scoperta su noi stessi, sugli altri e su Dio, e sulla forza che le cose abitualmente hanno sulla nostra pancia e il nostro cuore… e poi, la routine, in chiesa come per strada, a casa tanto quanto al lavoro: la cara, vecchia, comoda routine di feste, celebrazioni, pranzi interminabili con i propri cari e, dopo ancora la ferialità, che ci avrebbe traghettati fino all’estate.
E invece no.

Si è abbattuto sulle nostre vite distratte il flagello orrido e invisibile di una malattia misteriosa e minacciosa come un esercito alieno, che ha travolto l’ovvio e il prevedibile, e ci ha ridotti a procedere di giorno in giorno a tentoni: “E se me lo prendo anch’io?”. “E se me lo sono già preso?”. “E se invece se lo prende mia madre? Mio padre?”.

Il dubbio.
Va detto che per lo più sembra che noi Italiani non ci stiamo facendo turbare troppo da questa onda sinistra che dilagando ci sta travolgendo, però sappiamo tutti che in realtà la cosa ci sta toccando, eccome, e anche gli stolti gaudenti che se ne infischiano delle norme di sicurezza, delle distanze, delle reclusioni, delle notizie…

alla fine si stanno comportando così per non pensare, per non vedere, perché quello che ci fa più paura oggi non è il contagio: è l’ignoto.

All’inizio di questo duemilaventi ci è toccata in sorte una Quaresima molto particolare: le rinunce non siamo noi a deciderle, ma ce le impongono la vita, i medici, lo Stato e la Chiesa, naturalmente.
Il quaranta, numero biblico del deserto, è diventato per noi quanto mai pregnante: non solo i quarant’anni di Israele nel deserto per essere saggiato, o i quaranta giorni di Gesù nel deserto per essere tentato; ora sono anche i giorni, non necessariamente quaranta ma senz’altro quaresimali, della quarantena, tempo necessario di vaglio e catarsi dal possibile contagio. Tempo di isolamento, tempo di distanze dagli affetti, tempo di digiuni (anche liturgici), e proprio per tutto questo anche tempo fecondo di purificazione e di rinascita.
Uno sguardo pasquale, uno sguardo che sappia vedere il male nella luce vittoriosa di Dio, può vedere in questo periodo confuso e minaccioso l’humus di tanti elementi preziosi di bellezza e di speranza. Cercheremo di riconoscerne qualcuno insieme, facendoci forza con la memoria grata che il male e la morte, ormai, non possono avere più l’ultima parola in nessuna vicenda umana.