La Lettera apostolica, promulgata a ridosso del viaggio apostolico in Turchia, parte “dall’essenziale, ossia quel dono ricevuto che deve essere custodito e trasmesso con amore e gioia: ‘Crediamo in Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, disceso dal cielo per la nostra salvezza’”. Lo dice al Sir l’eparca di Lungro degli Italo albanesi dell’Italia Continentale, mons. Donato Oliverio, parlando della Lettera di Papa Leone XIV “In unitate fidei. Nel 1.700° anniversario del Concilio di Nicea” diffusa ieri. Papa Leone, “nell’evocare che la professione di fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, proclamata nel 325 dai Padri del Concilio di Nicea, richiama ‘il cuore della fede cristiana’”, spiega, sottolineando come “ancor oggi nella celebrazione eucaristica domenicale pronunciamo il Simbolo niceno-costantinopolitano, professione di fede che unisce tutti i cristiani”. Nel documento – spiega mons. Oliverio – il Papa affronta, “in maniera chiara e concisa, gli elementi storici della questione ariana e della reazione dei Santi Padri a quella confusione – generata dal pensiero di Ario – che per Papa Leone ‘San Basilio di Cesarea descrive [come] una battaglia navale notturna in una violenta tempesta’”. Il Pontefice spiega “cosa intesero affermare i Padri, utilizzando un simbolo di fede che era in uso presso la Chiesa di Cesarea: ‘Vollero ribadire che l’unico vero Dio non è irraggiungibilmente lontano da noi, ma al contrario si è fatto vicino e ci è venuto incontro in Gesù Cristo’”. Nel continuare a “ripercorrere” i passi che dal Concilio di Nicea giungono fino ai nostri giorni, Papa Leone XIV – aggiunge l’eparca – ricorda “che noi tutti oggi siamo inseriti in questo ‘lungo e lineare […] cammino che ha portato dalla Sacra Scrittura alla professione di fede di Nicea, poi alla sua ricezione da parte di Costantinopoli e di Calcedonia, e ancora fino al XVI e al nostro XXI secolo’”. E proprio perché il 1.700° anniversario del Concilio di Nicea “non deve essere letto come una mera ricorrenza da accantonare il prima possibile, rimangono a tutti noi le domande che Papa Leone ci consegna: ‘Che ne è della ricezione interiore del Credo oggi? Sentiamo che riguarda anche la nostra situazione odierna? Comprendiamo e viviamo ciò che diciamo ogni domenica, e che cosa significa ciò che diciamo per la nostra vita?”. Il Credo di Nicea-Costantinopoli “ci pone di fronte ad una via che non è larga e comoda, ossia la sequela di Gesù Cristo”: “Riscoprire continuamente questo amore sconfinato, ci ricorda che anche noi a nostra volta dobbiamo amarci. Il vero amore di Dio e per Dio ci custodisce dalla ipocrisia (amare Dio senza amare il fratello) e dall’eroismo che ci opprime (amare il nostro fratello senza amare Dio)”. Mons. Oliverio ricorda poi la dimensione ecumenica del Credo di Nicea e il Papa sottolinea che possa costituire “la base e il criterio di riferimento del cammino comune dei cristiani”. Il camminare insieme dei cristiani, ossia “l’essere Chiesa, ecco che diventa un connubio di sinodalità ed ecumenismo”. Come eparchia di Lungro, che “porta in sé la chiamata a pregare e lavorare per l’unità dei cristiani, fin dalla sua istituzione, non possiamo che gioire per questo documento che viene consegnato alla Chiesa universale – dice mons. Oliverio – proprio nell’anno del Giubileo della speranza: è un segno di speranza per l’oggi della Chiesa, per un nuovo ripartire mettendo al centro Cristo e recuperando la dimensione – talvolta fin troppo messa ai margini – della divinizzazione come fine ultimo del vivere di ogni uomo e donna. Un messaggio di speranza”. “Riscoprire – conclude l’eparca – il Concilio di Nicea per vivere sempre, ovunque, il dono dell’unità nella diversità per essere testimoni credibili di Dio, Padre, Figlio e Spirito, come vollero i 318 padri a Nicea e come deve animare la vita della Chiesa nel XXI secolo”.