Card. Pizzaballa: “la storia ci insegna che erigere barriere non è mai la soluzione”

(Foto Provincia Serafica S. Francesco Assisi/SIR)

“La storia ci insegna che erigere barriere non è mai la soluzione, perché le barriere rappresentano la paura, e cancellano ogni promessa di futuro, evidenziano la nostra mancanza di visione. E di visione, invece, abbiamo estremo bisogno, qui e nel resto del mondo”. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, celebrando oggi a Gerusalemme la messa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che la Chiesa celebrerà il prossimo 5 ottobre. Sono decine di migliaia i migranti e i rifugiati che vivono e lavorano in Terra Santa. “Quella della migrazione – ha rimarcato il patriarca – è una realtà di cui non si parla qui in Terra Santa, se non in qualche momento particolarmente drammatico; è nascosta agli occhi della maggioranza della popolazione. Ma per quanto la si voglia tacere, essa balza, comunque, agli occhi di chiunque sia attento a quanto accade attorno a sé. Si tratta infatti di migliaia di persone, che non possono rimanere invisibili”. “Nella vita di ciascuno di voi – ha affermato il card. Pizzaballa – ci sono spesso drammi familiari e personali, che non fanno notizia, ma che lasciano un segno profondo nella vostra vita”. Il pensiero del patriarca è andato “alla questione delle espulsioni che continua a coinvolgere molte famiglie. Bambini e giovani, nati e cresciuti qui e che, anni dopo, sono costretti a partire per una patria che non hanno mai conosciuto e, in un certo senso, sono stati costretti a diventare migranti in quello che dovrebbe essere il loro Paese”. “Penso ai tanti che vivono tra noi senza alcuna garanzia giuridica, con il rischio di essere costretti ad andarsene in qualsiasi momento, senza mezzi e senza la possibilità di procurarseli, costretti, come il Lazzaro del Vangelo, a vivere di briciole. Penso a coloro che vivono in condizioni di lavoro umilianti, ma soprattutto ai tanti bambini che non hanno la possibilità di vivere come qualsiasi altra famiglia, con un padre e una madre vicini, una casa e un contesto di vita sereno; costretti a partire per un Paese straniero e non necessariamente amico, a essere divisi, per mancanza di mezzi, sempre in movimento e con la paura di dover partire improvvisamente verso un futuro imprevedibile”. Il pensiero del patriarca è andato a “quelli che in questi due anni hanno partecipato nella maniera più drammatica possibile all’orrore del conflitto, rimanendo uccisi in questa tragica guerra, il 7 ottobre nei kibbutz, nei mesi scorsi nel nord di Israele, sotto i lanci di razzi dal Libano, e ultimamente a Tel Aviv, durante la guerra con l’Iran. Non avete nome, spesso, non siete visti, eppure anche voi – ha ribadito – siete parte della vita di questa Terra Santa, partecipate al suo sviluppo sociale ed economico, e condividete la stessa realtà di violenza e a volte fino alla morte”. Consapevole che “la nostra Chiesa non è in grado di influire su questi enormi processi”, il cardinale ha ribadito l’impegno a “dare ascolto alla voce di queste persone, dare un volto e un nome a ciascuno di voi. È questa la nostra missione: ridare dignità e identità a persone che forse molti preferirebbero non vedere né incontrare, ma che esistono, sono reali e attendono la nostra risposta”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Diocesi