Scuola e famiglia. Nella tua classe sei felice?

La notizia più rivoluzionaria che ho sentito fino a oggi attorno alla ripresa della scuola, viene da Bologna dove, al liceo “Malpighi”, il preside ha vietato l’uso del telefonino in classe.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

La notizia più rivoluzionaria che ho sentito fino a oggi attorno alla ripresa della scuola, viene da Bologna dove, al liceo “Malpighi”, il preside ha vietato l’uso del telefonino in classe. I 530 studenti dovranno riporre lo smartphone in un cassetto. Sarà restituito loro all’uscita. «Un progetto didattico che non calpesta la libertà di nessuno, ma permette ai ragazzi di sperimentare una scuola nuova, quella che tutti noi abbiamo vissuto, senza smartphone. Crediamo che così i ragazzi possano dedicare le loro energie al lavoro che si fa in classe e sperimentare la sfida dell’altro e dell’essere comunità durante l’intervallo» – spiega il preside Marco Ferrari. Mentre al suono della prima campanella, lunedì mattina in Lombardia e in Piemonte, erano ancora in panne le graduatorie dei docenti per le supplenze e tuttora continuano i problemi per lo sdoppiamento delle classi con l’organico Covid, finalmente un preside si assume “il rischio” di una “scelta coraggiosa”. Come l’hanno definita gli altri giornali. Che poi più che di coraggio, parlerei di buon senso. Per quanto si tenti, in tutti i modi, di trasformare la scuola in qualcosa di astrattamente moderno (non ho ancora capito bene come), resta sempre il luogo delle relazioni in cui si cresce e si sceglie tra ciò che è importante per il cuore e la testa di una persona e ciò che è superfluo. Ce ne siamo accorti durante la pandemia con la didattica a distanza. E ora ne paghiamo le conseguenze non sul piano dell’apprendimento ma su quello dello sviluppo psichico di tanti ragazzi che si sono involuti, non parlano, si sentono soli. In fondo, non si smette mai di andare a scuola di emozioni. In una bella intervista rilasciata a Giovanna Pasqualin Traversa per il Sir, Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola “Penny Wirton” per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati, anche quest’anno rivolge un pensiero e un augurio a ragazzi e professori. «La scuola rappresenta il luogo sociale per eccellenza dove si formano le coscienze e si progetta il futuro. Ogni problema presente altrove, in un modo o nell’altro, entra nella psiche degli studenti che a volte riescono a mascherare le loro crisi, altre volte le proiettano all’esterno anche per liberarsene. In questo senso tornare in presenza è davvero importante perché finalmente ci riporta alla vita di classe: luogo di formazione essenziale, perfino nelle sue inevitabili tensioni». E ha continuato: «Sarebbe bello se ognuno di loro cercasse e magari scoprisse nel prossimo anno scolastico una passione da coltivare, un sogno da realizzare, un’avventura conoscitiva da vivere. In tutte le persone esiste una corda segreta da raggiungere e far suonare: se hai la fortuna di trovarla da piccolo non sentirai più la fatica e la noia del compito da svolgere perché ti piacerà fare ciò che hai scelto». I genitori sono fondamentali. Credo che la prima regola che si debbano dare è di non interferire troppo con il lavoro degli insegnanti. Ognuno rispetti il suo ruolo. Assecondino i desideri dei figli, li facciano volare, lascino che siano loro a scegliere la scuola adatta che non è sempre quella sotto casa cioè la più comoda. Il criterio non è: vado nella scuola che mi permette di dormire mezz’ora in più la mattina, ma vado nella scuola che mi rende felice. Senza complicati ragionamenti sugli sbocchi lavorativi. Abbiamo bisogno di adulti realizzati. E le mamme, più che perdere il loro tempo sul gruppo di WhatsApp “Madri della II B”, tra commenti al vetriolo sulle maestre e pettegolezzi, quando vanno a prendere i loro figli a scuola, non chiedano: «Che cosa hai fatto?», ma: «Sei contento?» Ci vuole fatica e coraggio a studiare. Ma sono queste le uniche vie per la gratificazione personale.

 

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