Cammino sinodale. Casale Monferrato e Saluzzo: un esercizio da ripetere seriamente perché porti frutto

Le esperienze vissute negli ultimi mesi dalle comunità di Casale Monferrato e Saluzzo, raccontate al Sir dai referenti diocesani

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

La dinamica sinodale è questione di esercizio: dopo aver iniziato, magari anche con qualche difficoltà o timore, se si ha la costanza di farla propria seriamente si trasforma in un lavorio sulla Chiesa che non può non portare frutti alla comunità ecclesiale stessa e al mondo. È questa una delle consapevolezze maturate nelle diocesi italiane durante la prima fase del cammino sinodale. Lo raccontano al Sir i delegati diocesani di Casale Monferrato e Saluzzo, sintetizzando quanto vissuto dalle rispettive comunità negli ultimi mesi.

Elaborazione condivisa, strutture da rinnovare, familiarità. “La dinamica sinodale diventi sempre più la norma e la mentalità da cui scaturisce permei in quello che già c’è. L’auspicio – e l’impegno – è che si continui a lavorare con questa modalità. Perché il camminare insieme è un’esperienza che sta diventando davvero concreta nelle nostre realtà”. Così don Samuele Battistella e Elisa Patrucco, referenti per la diocesi di Casale Monferrato, commentano quanto emerso nella prima fase del cammino sinodale della Chiesa monferrina. Dopo un “avvio non agilissimo anche per via di qualche difficoltà – rilevano – è prevalsa la voglia di vincere la resistenza iniziale e chi è stato coinvolto si è dimostrato soddisfatto di partecipare”. Questo è successo anche per gli studenti delle scuole del territorio, raggiunti da una lettera con cui il vescovo Gianni Sacchi ha voluto creare un primo contatto con loro. Dalle oltre 900 risposte dei giovani, al di là del contenuto, è emerso in primo luogo il fatto di “essere contenti per essere stati interpellati”. “Le idee, istanze ed esigenze raccolte – evidenzia don Battistella – sono materiale molto interessante che può trasformarsi in humus su cui fare un lavoro di discernimento sinodale insieme con loro” creando nuove “opportunità di scambio” tramite gli insegnanti di religione. Gli studenti, come tutte le altre persone coinvolte nel cammino sinodale, hanno fatto comprendere quanta attesa ci fosse di un’occasione come questa. “All’inizio abbiamo respirato una sensazione di attesa per un momento di confronto com’è quello offerto dal cammino sinodale”, continua Patrucco. E forse non è un caso che

chi ha partecipato al percorso ha espresso il “desiderio di spazi, luoghi e momenti di confronto” oltre che la necessità di una maggior “collaborazione e progettazione condivisa per aiutarci a crescere insieme”.

Lo sforzo che si è cercato di compiere è stato quello di “capire veramente cosa voglia dire essere Chiesa e come questo venga sollecitato dall’idea di camminare insieme”, racconta don Battistella che poi pone l’attenzione su una problematica: “Le comunità avvertono le priorità, le individuano ma si scontrano con le strutture – di carattere gerarchico, spaziale, liturgico – dove il tutto viene soffocato. Per questo

c’è necessità di mettere mano alle strutture,

altrimenti anche la migliore volontà viene soffocata da queste”. Altre criticità emerse sono quelle relative alla formazione del clero e dei laici mentre si è verificata una certa “fatica ad affrontare alcuni temi – per esempio pace, dialogo ecumenico, apertura al sociale”. “C’è un diffuso legame con il territorio – precisano –, anche un grande attaccamento alla realtà in cui si vive ma manca la capacità di prendersene cura a livello sociale”. Da questo punto di vista serve “una formazione ecclesiale che permetta di essere cittadini nel mondo, nel nome di Cristo”. Il cammino intrapreso – che è servito anche a rileggere la storia recente della diocesi – ha già portato alcuni frutti: ne sono la riprova il come sta lavorando il Consiglio pastorale diocesano e la dinamica avviata con gli Uffici pastorali. È cresciuta la volontà di “elaborare insieme” così come – rileva Patrucco – si è verificato un “aumento di familiarità tra le persone e la crescita dei rapporti interpersonali”. D’altra parte, le fa eco don Battistella,

“per essere Chiesa la questione rimane quella di crescere nelle relazioni buone e autentiche, attorno alla Parola di Dio. Anche per questo va riscoperta una dinamica molto più domestica nelle nostre parrocchie”.

Appartenenza, necessità di preparazione, valorizzazione. “L’esperienza vissuta finora non si deve esaurire con la seconda fase del cammino sinodale, sarebbe bello se si riuscisse a produrre momenti di convocazione delle persone per coinvolgerle oltre alle semplici richieste pastorali”. È ciò che si augura don Carlo Cravero, uno dei due referenti per la diocesi di Saluzzo, riepilogando il percorso fatto dalla Chiesa locale. Il sacerdote non nasconde qualche difficoltà iniziale anche perché il Covid-19 in zona aveva contagiato molte persone e “convocare la gente è stato complicato”. Ma, “superato il momento di criticità, si è lavorato bene, valorizzando anche in parte la visita pastorale del vescovo”. Don Cravero racconta della “sorpresa nella gente che ha partecipato”, persone che

“hanno accolto con gioia l’invito ad essere ascoltati”.

Quasi che ne avvertissero il bisogno, “anche se – osserva – gli organi e gli organismi di partecipazione ci sono e funzionano”. “Forse – commenta il sacerdote – non formano sufficientemente il senso di appartenenza alla vita della Chiesa, perché non si ragiona insieme su quale tipo di Chiesa vogliamo essere; anzi, alcune volte producono addirittura una chiusura, perché ognuno pensa solo alla propria realtà”.

“Il cammino sinodale – evidenzia don Cravero – ha aperto un percorso diverso, perché ha spinto ad uscire dall’ombra campanile e ha aiutato a ragionare su che tipo di Chiesa abbiamo nel cuore in base a ciò che il Signore ci suggerisce”.

Passo tutt’altro che semplice, considerato anche che “la gente riconosce per prima la mancanza di un’adeguata preparazione su alcuni argomenti, e anche per questo chiede formazione teologica, un gradino diverso rispetto alla catechesi che si è fatta e si fa nelle parrocchie”. Il referente riferisce poi dell’importante contributo dato al cammino da parte delle comunità religiose presenti in diocesi: monaci cistercensi, monache romite, la Comunità Cenacolo di suor Elvira e, in particolare, i 5 piccoli fratelli di Charles de Foucauld. Rilevante, poi, è stato il punto di vista offerto dalle piccole parrocchie, per lo più in zone di montagna, dalle quali “è emersa una certa nostalgia per un passato di comunità più numerose” ma che “hanno espresso il desiderio di essere più coinvolte nelle attività diocesane”. “Il loro contribuito – rileva il sacerdote – ha permesso anche di realizzare una fotografia della diocesi, con punti di forza e debolezze, che consentirà nella seconda fase di concentrare la nostra attività in alcune realtà e in altre stimolare maggiormente la riflessione”. In diocesi è stato poi attivato anche un gruppo social per stimolare i giovani alla partecipazione. Nei tavoli sinodali dei gruppi giovanili è stato condiviso “il desiderio di partecipare ma anche la loro fatica a rispecchiarsi nella comunità che celebra”, oltre che la “difficoltà nell’avvicinarli con parole giuste e nel trovare continuità di presenza e coinvolgimento nella vita ordinaria della comunità”. Per esempio, conferma don Cravero, “i giovani sono molto sensibili e interessati all’attività della carità, ma chiedono modalità e tempi a loro più adatti”.

Un altro frutto del cammino fin qui percorso è il voler valorizzare i gruppi sinodali, tra questi anche quello con i diaconi permanenti, chiedendo loro un “aiuto per formulare il piano pastorale; saranno – precisa il sacerdote – luoghi di ascolto per fornire indicazioni al vescovo per il piano pastorale”.

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