Cammino sinodale. Trieste e Verona: “Allargare lo sguardo e sentire chi è fuori”

Il cammino sinodale, dalla fine dello scorso anno ad oggi, ha messo in moto migliaia di fedeli e non solo in tutta Italia. Non solo perché in quasi ogni parte del Paese la vicinanza con altre culture e religioni è strettissima e il viaggio intrapreso ha l’intenzione di incontrarle. Un esempio è dato dalle diocesi di Trieste e Verona, due baluardi del Nord Est, dove la presenza di cittadini di origine straniera è consolidata e diffusa

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

L’idea di fondo è trovare un metodo per riuscire ad alzare la visuale. L’immagine invece somiglia a tanti cerchi concentrici, dove il perno è il Vangelo. Il risultato per ora sono le riflessioni, le schede e l’ascolto di centinaia di persone in diocesi e ambiti differenti.
Il cammino sinodale, dalla fine dello scorso anno ad oggi, ha messo in moto migliaia di fedeli e non solo in tutta Italia. Non solo perché in quasi ogni parte del Paese la vicinanza con altre culture e religioni è strettissima e il viaggio intrapreso ha l’intenzione di incontrarle. Un esempio è dato dalle diocesi di Trieste e Verona, due baluardi del Nord Est, dove la presenza di cittadini di origine straniera è consolidata e diffusa.Nella città giuliana, la mescolanza di culture è nel Dna. “Nel percorso abbiamo coinvolto la comunità slovena tramite un referente interno alla commissione dedicata al sinodo per far emergere le peculiarità ed il contributo di questa popolazione che vive a fianco della componente italiana. Abbiamo, inoltre, sentito tutte le voci della città, attraverso la Commissione ecumenismo e dialogo interreligioso. Per noi è automatico entrare in dialogo con altre realtà”, spiega Paola Santoro, laica consacrata delle Cooperatrici oblate missionarie dell’Immacolata che la mattina insegna religione in un istituto superiore e il pomeriggio si occupa di attività estrattive in qualità di ingegnere.
A parte il Covid, “che ha reso una sfida anche solo incontrarci in presenza”, la guerra ha sconvolto tutto. Anche il cammino sinodale: “Trieste è una porta. I profughi dall’Ucraina avevano bisogno di una assistenza di prima necessità: cibo, giochi per i bambini e il loro inserimento a scuola. Ci siamo chiesti come rispondere immediatamente. Sono stati aperti gli oratori, sia per le mamme sia per i figli”.

La città vanta anche una vocazione scientifica per via della presenza di università e centri di ricerca. Nel percorso sinodale è stato coinvolto quindi il laboratorio “Scienza e fede” tramite il quale la commissione ha intercettato i ricercatori. “L’idea – commenta Santoro – era di non ascoltare solo le persone interne alla Chiesa ma di allargare lo sguardo e sentire anche chi è fuori”. Chi è spesso all’esterno sono gli adolescenti che dopo la comunione a volte lasciano la parrocchia perché non va di moda. “Tramite gli insegnanti di religione abbiamo coinvolto 95 classi con studenti dai 14 anni in su. I ragazzi hanno rilevato quasi nella totalità l’esigenza di avere dei testimoni e non solo dei maestri. Ci ha fatto piacere scoprire che hanno un’immagine positiva della Chiesa, sanno riconoscere i pregiudizi come etichette attaccate. Dicono poi che mancano cristiani felici di esserlo, che vivono le parrocchie felici di starci dentro”.

Per la referente della diocesi di Trieste, dalle tante risposte arrivate alla commissione emerge “voglia di dialogo con chi è fuori e con le varie realtà. Voglia di andare incontro ai giovani, di trovare un modo per intercettare i bambini e le famiglie. Voglia di collaborare con chi è già dentro la Chiesa”.

In finale, Santoro sintetizza così: “è emerso il bisogno di fare sinodo, lavorare insieme il più possibile anche con realtà diverse. E allo stesso tempo il bisogno di essere ascoltati e di ascoltare”. La prospettiva adesso è di impegnarsi nelle relazioni. “Nelle singole parrocchie – spiega – si vogliono dare vita ad attività non per forza di lectio divina ma di vita quotidiana, per un confronto sulle dinamiche di tutti i giorni”.

Anche a Verona hanno alzato lo sguardo per allargare il cerchio. Anzi, la diocesi ha messo in piedi una vera e propria metodologia di lavoro. “Abbiamo provato due telai: il primo interno nelle realtà diocesane e il secondo esterno negli ambiti di ascolto diversi. Tutti gli uffici pastorali hanno delegato e impiantato il secondo telaio per fare ascolti esterni dai quali sono emersi dei quaderni. Il gruppo di lavoro composto da 40 persone”, illustra monsignor Alessandro Bonetti, vicario episcopale per la Pastorale della diocesi.
Gli ambiti riguardano la povertà, la scuola, la sanità, l’aspetto lavorativo-politico, l’ecumenico e il multireligioso. “Cerchiamo di capire le esigenze della gente che guarda alla Chiesa. Per esempio abbiamo avuto un gruppo di cristiani Lgbt che ha fatto una loro riflessione molto rispettosa. Hanno messo in luce la necessità di essere accompagnati e aiutati”. Il processo è avviato ma “non siamo arrivati alla conclusione”, avverte Bonetti. La diocesi è grande e mettere in movimento la macchina non è stato facile. “I movimenti e le associazioni sono decine solo nell’ambito dell’immigrazione. Raggiungerle tutte è stato complesso. Le risposte finora sono state molte e belle. La sintesi verrà mandata alla Cei e sarà bello consegnare al futuro vescovo una lettura della realtà ecclesiale che venga dalla base, dal popolo di Dio”.
Qual è l’idea di fondo? “Far suscitare cosa lo Spirito sta dicendo alla Chiesa – risponde -. Abbiamo fatto anche un incontro con Alberto Melloni (ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia, ndr) per capire come il sinodo non sia un esercizio di democrazia in cui ognuno dice quello che vuole ma un percorso di discernimento che ciascuno fa per poi condividere. Il metodo è interessante perché porta all’essenziale e non su rivoli di polemica. Certo – riconosce – vengono fuori anche le cose che non funzionano ma si tratta di un ascolto vero. Mi è piaciuto perché va a intercettare un percorso che avevamo già cominciato come diocesi. Una Chiesa che comincia a condividere la fede, in seguito può anche condividere ciò che non va. Una Chiesa che non parte dalle cose da fare ma dal vissuto di fede. Questa è una Chiesa vera”.
Anche a Verona emerge evidente l’esigenza di porre attenzione alle relazioni. “Abbiamo visto – ricorda – nel primo ascolto che ciò che fa la verità della Chiesa sono le relazioni vere, fondate in Cristo. Molti inoltre arrivano alla fede attraverso un momento di fatica e dolore. Sono arrivati o tornati alla fede perché hanno trovato qualcuno che li ha accolti, amati, accompagnati”.

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