Violenza su donne. A “Mondo rosa” può rinascere la speranza. La storia di Marina: “Abbiate il coraggio di denunciare”

Un centro antiviolenza e una casa rifugio: sono le due strutture attive all’interno del Centro calabrese di solidarietà per offrire alle donne un percorso di sostegno e ricostruzione di sé verso l’autonomia. Mantelli: “Dalla politica basta promesse. Vogliamo gesti concreti”. Marina: “Voglio dire alle donne di denunciare. È possibile ricominciare a vivere ed essere di nuovo felici”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Presso il Centro calabrese di solidarietà, nato nel 1986 per occuparsi di tossicodipendenti e che ha progressivamente ampliato l’offerta di servizi a sostegno delle persone più povere e svantaggiate, sono attivi anche un centro antiviolenza (Cav) e una casa rifugio per donne vittime di violenza domestica. “Mondo rosa” è la denominazione che accomuna le due strutture. “Nel lavoro con i tossicodipendenti – racconta al Sir la presidente del Centro, Isolina Mantelli – ci siamo accorti che le donne avevano un problema in più: vendevano il proprio corpo per procurarsi le sostanze e molte di loro venivano abusate o avevano una storia di violenza in famiglia”. Di qui l’apertura, l’8 marzo 2008, del centro antiviolenza e della casa rifugio in una struttura concessa in comodato d’uso gratuito dalla diocesi di Catanzaro. Ma c’è un problema di risorse: “Stiamo attendendo l’accreditamento della Regione che dovrebbe arrivare a breve. Nel frattempo tutti gli operatori hanno accettato il contratto di solidarietà”.

Un territorio non facile: attualmente la casa rifugio, inaugurata l’8 marzo 2012,  accoglie sei donne e tre bambini ed è stata dotata di sistema di videosorveglianza e inferriate alle finestre per proteggere le ospiti dai tentativi di intrusione di alcuni uomini violenti,

“pesci piccoli della ‘ndrangheta che volevano riprendersi le ex compagne ritenute una loro proprietà”,

spiega Mantelli facendo intuire quanto un lavoro delicato e complesso sia reso ancora più difficile da fughe di notizie in un contesto già di per sé problematico. “Per fortuna in caso di necessità possiamo contare sull’intervento immediato del vicino commissariato di polizia”, aggiunge assicurando che gli autori dei tentativi di intrusione sono stati allontanati dalla Calabria.

Le donne vi arrivano per lo più attraverso le forze di polizia, oppure inviate da centri antiviolenza o da ospedali; qualcuna di propria iniziativa per mettere in salvo se stessa e i figli. Arrivano traumatizzate e finalmente “riescono a dormire tranquille senza più la paura di essere aggredite nel sonno”. Per Mantelli

il livello di violenza e terrore che incutono questi uomini è difficilmente immaginabile;

il femminicidio “è l’epilogo di un inferno vissuto spesso in solitudine da donne prive di una rete di protezione, abbandonate anche dalla famiglia d’origine perché permane l’idea che bisogna stare zitte e subire, e consapevoli che una denuncia potrebbe scatenare la vendetta del partner”. Nella casa rifugio trovano alloggio temporaneo e protezione, vengono accolte e accompagnate da psicologhe, assistenti sociali, avvocate. I bambini sono affidati alle educatrici. L’avere vissuto lo stesso incubo “fa scattare spontaneamente la solidarietà reciproca e l’auto aiuto”. Oltre al percorso psicologico, la gestione quotidiana della casa fa loro ritrovare autostima e fiducia in sé.

Il centro antiviolenza è invece una struttura diurna che offre alla donna l’aiuto necessario per affrontare il percorso di uscita dalla violenza e lavora in rete con i servizi pubblici e privati del territorio. “Da subito – spiega Mantelli – abbiamo costruito un Coordinamento regionale con tutti i Cav del territorio e un Tavolo tecnico”. Ma il Centro calabrese offre anche percorsi di formazione professionale: “14 donne hanno appena acquisito il titolo di operatori socio sanitari perché la ricostruzione di sé implica anche il raggiungimento dell’autonomia lavorativa”.
“Siamo stanchi di parole inutili e di promesse a vuoto”, conclude la presidente del Centro calabrese, commentando l’annuncio dell’imminente arrivo di misure più efficaci per contrastare la violenza domestica. Di qui l’auspicio che questo 25 novembre non sia l’ennesima celebrazione retorica.

“Abbiamo bisogno di gesti concreti”.

“Con sacrificio, fatica e lacrime sono riuscita a riprendere in mano la mia vita e vorrei dire a tutte le donne vittime di violenza che si può rinascere, ma occorre il coraggio di denunciare”. Marina (nome di fantasia) è rumena, ha 43 anni e tre figli e grazie a Mondo rosa ha ritrovato la serenità. “Vent’anni fa – ci racconta – ho conosciuto il mio ex compagno e dopo due anni di convivenza è nata la mia prima figlia”. Un rapporto non facile: già allora lui manifesta frequenti scatti d’ira, ma la famiglia di Marina la convince ad avere pazienza, che la nascita della figlia lo cambierà. Non sarà così. Poco dopo si trasferiscono in Italia, trovano entrambi un lavoro ma la gelosia morbosa del partner scatena improvvisi raptus di violenza:

“Mi impediva di truccarmi, mi controllava in modo ossessivo. Se mi vedeva in mano un cellulare lo distruggeva”.

Nel corso degli anni sono nati altri due bambini: quando in casa sporcavano lui dava in escandescenze. “Ha smesso di picchiarmi dopo averlo denunciato, ma vivevamo in un clima di terrore, e la bimba più grande era quella che soffriva di più”. Nel 2015, un giorno Marina esce con i figli per fare la spesa ma non torna più a casa. A chiederglielo è proprio la figlia dodicenne. Vanno in parrocchia dove vengono chiamati i carabinieri, Marina sporge denuncia per maltrattamenti in famiglia e viene subito accolta in una casa rifugio della sua città, ma solo per pochi giorni. Sarà più sicura a Catanzaro, così approda a Mondo rosa. “Ero molto spaventata ma ho trovato un’accoglienza calorosa e ho iniziato il mio percorso personale, psicologico e genitoriale, mentre i bambini sono stati inseriti a scuola e hanno potuto fare una vita serena come in una vera famiglia”. Con le altre mamme ospiti, “le mie compagne di sofferenza”, si è instaurato un legame di amicizia che tuttora permane: “Continuiamo ad aiutarci a vicenda”. Non è stato facile: “Il cammino è stato importante ma anche doloroso, ho avuto momenti di scoraggiamento in cui avrei voluto abbandonare tutto, ma le operatrici mi sono sempre state vicino sostenendomi, sono stati i miei angeli custodi”.Marina ci chiede di ricordarle per nome: “È grazie a Romina Ranieri, Assunta Cardamone e Francesca Corapi se ora ho una casa mia, un lavoro stabile ed anche un nuovo compagno”. Sì, perché nel 2019 è uscita da Mondo rosa. “Tutti mi dicono che sono stata forte; è vero ma anche le persone forti hanno talvolta bisogno di sentirsi dire: non sei sola”. Di qui il suo appello: “Voglio dire alle donne costrette in situazioni di disperazione di non subire, di trovare la lucidità e il coraggio di denunciare. La legge è dalla nostra parte, dobbiamo fidarci, ma senza una denuncia non si può fare nulla. Non si può vivere nel terrore, ognuna di noi ha il diritto di essere libera.

Io ho avuto paura ma anche tanta speranza, e con la speranza si può andare lontano, si può ricominciare a vivere ed essere di nuovo felici”.

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