“Sentiamo vicine quelle popolazioni sofferenti, private della loro dignità, e chiediamo l’intercessione di san Matteo – usando le parole di Papa Leone – per una pace disarmata e disarmante”. Lo ha affermato ieri il card. Angelo De Donatis, penitenziere maggiore della Penitenzieria apostolica durante il pontificale in onore del santo patrono Matteo apostolo ed evangelista che ha presieduto nella cattedrale di Salerno.
Commentando la pagina evangelica della chiamata di Matteo, il porporato ha sottolineato che “uno sguardo ed una parola cambiano la scena: vide e ‘seguimi’. Qui dentro si gioca il futuro della nostra identità e anche la solidità delle nostre comunità, qui dentro c’è la radice di ogni percorso pastorale, di ogni esistenza, qui trova sorgente e radice la nostra vita cristiana. Non si tratta subito di mettersi all’opera, di cominciare a fare, di progettare in modo geometrico piani e azioni di evangelizzazione, ma di partire contemplando uno sguardo che ci ha sedotti e una Parola che ci ha rigenerati”. “Oggi – ha proseguito – questa Chiesa, ognuno di noi sente il fascino di quello sguardo, uno sguardo che ci ha conquistati. Perché quello sguardo è così decisivo? Esso esprime la realtà di un amore totale che ci ha avvolti; è uno sguardo impregnato del fuoco dello Spirito, che ci abbraccia e ci coinvolge”. “In quello sguardo – ha aggiunto De Donatis – ci sentiamo generati, in quello sguardo ci sentiamo nuovamente creati, partoriti ad una vita meravigliosa che non ha mai fine. È lo sguardo eterno di Dio che si è posato, senza mai interrompersi, sull’unicità di ciascuno di noi e che ci commuove, ci scuote, ci converte, ci rinnova”. “Sarebbe proprio una grazia se ogni nostra azione pastorale, se tutto ciò che stiamo pensando per le nostre comunità, sia preceduto dalla contemplazione dello sguardo del Signore sulla nostra comunità”, ha commentato il cardinale, evidenziando che “il Signore vuole fissare, scolpire nel cuore il suo interesse di bene per ciascuno di noi e ci chiede una totalità che non lascia niente a noi stessi”. “Oggi – ha osservato – la sequela chiede una spoliazione. Non si può essere discepoli senza lasciarci spogliare dalla vita e scoprire che mentre perdiamo tutto, in realtà, stiamo indossando l’abito nuovo, quello delle nozze”. “Dall’essere spogliati, quando a noi non rimarrà neanche un frammento di noi stessi, allora prenderà forma l’azione pastorale e sentiremo la gioia di non dover inventare nulla, non avremo l’ansia di dove costruire, ma semplicemente sapremo narrare ai nostri figli, sapremo camminare per le vie del mondo, raccontando la seduzione di un amore che ci ha spogliati e della bellezza di consegnarci”, ha rilevato il porporato, ricordando che “il ‘seguimi’ ci chiede franchezza nel cuore, ci chiede azioni pastorali credibili, ci chiede di essere discepoli che non porteranno un vangelo modificato, zeppo di piccoli compromessi, di qualche annacquamento o grigiore, ma porteremo il Vangelo che salva, nella sua genuina limpidezza”. “La misericordia, che con abbondanza ci viene donata in questo Anno Santo, è la sola nostra certezza e saremo noi stessi, colmi di stupore, nel vedere come questa misericordia ci fa apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri: davvero questa misericordia sarà la sostanza che dona identità alla Chiesa”, ha ammonito De Donatis, nella convinzione che “la Misericordia cui ci chiama il Signore ci permette di comprendere che se si comincia con il donare, bisogna finire con il consumarsi che coincide con la misericordia. Il donare potrebbe rischiare di rimanere solo in un ambito di gratuità, che seppure preziosa, non ci ha ancora portato nel cuore della misericordia. Il consumarci ci spoglierà davvero e farà di noi un segno reale di misericordia”.