Terra Santa: Patton (Custodia), “dai cristiani locali ho imparato che appartenere a questa Terra non è una maledizione ma una vocazione”

Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton (Foto Crediti © Paolo Salvaggio / Fondazione Terra Santa)

“Al di là di guerra e Covid credo che la Custodia in questi nove anni sia cresciuta nella sua multiculturalità, allargandosi all’Asia e all’Africa in modo significativo e diventando così a sua volta un’ottima carta da visita della cattolicità: siamo frati di quasi sessanta nazionalità diverse e di tutti i continenti. L’allargamento sempre più cattolico della Custodia è forse ciò di cui sono più contento”. Lo afferma padre Francesco Patton che dopo nove anni, il 24 giugno, ha terminato il suo mandato di Custode di Terra Santa. Al suo posto Papa Leone XIV ha nominato padre Francesco Ielpo.
In un’intervista all’Osservatore Romano, padre Patton traccia un bilancio di questi 9 anni e li racconta attraverso i luoghi di presenza della Custodia che ha visitato e le persone che ha incontrato: “il Monte Nebo in Giordania, Cipro con i due giorni trascorsi con Papa Francesco al nostro convento di Santa Croce a Nicosia, circondati dal filo spinato; Siria ovvero il mio primo impatto con la guerra, nell’agosto del 2016, ammirare la dedizione alla missione dei ‘miei’ frati che sono rimasti accanto alla gente, senza scappare e senza preoccuparsi di sé, per i lunghi anni del conflitto: pastori, non mercenari”. Libano per Patton vuol dire “un popolo di grande cultura e dignità dove i frati minori hanno saputo dialogare con tutti, mettendosi al servizio di tutti in questi anni di guerre, crisi economiche e instabilità politica”. Rodi è “un faro di accoglienza dei profughi e dei rifugiati e di dialogo” mentre l’Egitto “mi richiama la bellissima esperienza di dialogo che abbiamo fatto con il più importante centro culturale musulmano sunnita, Al Azhar, nel 2019 per l’VIII centenario dell’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano a Damietta”.
Israele e Palestina, rimarca il frate, “non li posso separare: sono quella porzione di mondo dove sono concentrati la quasi totalità dei luoghi santi che custodiamo e che mi permette di riconoscere la profondità delle radici dei cristiani locali che hanno il dna di tutti quei popoli di cui ci parla il Nuovo Testamento”. Significative sono state le relazioni con ebrei e musulmani, che hanno il volto di “Osama Hamdan, musulmano, architetto di fiducia della Custodia prematuramente scomparso: un uomo dotato di grande sensibilità e spiritualità che da musulmano amava molto Gesù, mostrando l’evidenza che ci può essere sintonia, collaborazione e amicizia fraterna tra cristiani e musulmani”, e di Amir, collaboratore per la comunicazione, “con il quale c’è stato un cammino non solo di collaborazione ma di amicizia fraterna e, in alcuni momenti difficili, di incoraggiamento a non perdere la speranza di fronte all’esperienza del male”. Nove anni, conclude Patto, nei quali “credo di essere diventato umanamente un po’ più paziente, imparando dai cristiani locali che per rimanere qui bisogna amare questa terra, essere resilienti e capire che appartenere a questa terra non è una maledizione ma una vocazione”.

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