Quaresima: card. Battaglia (Napoli), “il deserto è il luogo in cui impariamo che l’Amore non è presa ma resa. E sarà Pasqua. Resurrezione, già adesso”

(Foto ANSA/SIR)

“Voglio dirvi che sono fragile, che ho paura per il destino del mondo e che fremo al pensiero di non riuscire a proteggervi, in molti modi, tutti. E che imparo, ancora giorno dopo giorno, che l’Amore è farsi pane, non farsi primo”. Lo scrive l’arcivescovo di Napoli, card. Mimmo Battaglia, nella sua lettera per Quaresima.
“Mentre prego sento l’affanno di Papa Francesco: il suo respiro che fa fatica è icona potente della sua malattia-preghiera”, prosegue il porporato precisando: “E no, non intendo che la malattia è preghiera per tirar su la vecchia consolazione che se soffriamo, espiamo le colpe e guadagniamo il Paradiso. No. Intendo che la malattia è preghiera quando ci ricorda chi siamo. Ad-viene per dirci che siamo tutti fragili. E che questa fragilità è ciò che ci lega, che ci fa umani perché capaci di riconoscerci tutti figli, e dunque fratelli e sorelle”.
Eppure, osserva, “incredibilmente, proprio il terrore di questa fragilità ci separa: la paura di riconoscerla – in noi o in chi amiamo -, la paura di essere deboli e non potenti agli occhi degli altri, ci fa compiere azioni che vanno verso un totem, antico eppure ancora presente, l’idolatria più pervasiva: il nostro farci dio”: “Ci facciamo dio tutte le volte che non sappiamo riconoscere di avere torto. Ci facciamo dio tutte le volte che per sentirci forti, saliamo su un piedistallo fatto delle macerie degli altri. Ci facciamo dio molte volte, ma non nel senso sacro di riconoscerci suoi figli, bensì nel senso di poter schiacciare qualcuno o qualcosa in nome di un potere che scambiamo per felicità, che scambiamo per bellezza”.
Di qui l’auspicio: “Possano questi 40 giorni portarci nel deserto dove Lui parlerà al nostro cuore. Che Lui ci mostri bellezza e felicità che resistano al dolore, ma non nel senso che lo cancellino come se gli chiedessimo una bacchetta magica: che resistano nel senso che Gesù ci ha insegnato, ovvero che lo trasfigurino, che ne facciano passaggio, Pasqua”.
Quando “ci ammaliamo, abbiamo paura, perdiamo”, “da sempre Lo cerchiamo nella forza, nella vittoria, nella magia di un desiderio – che chiamiamo preghiera – che sia esaudito. E Gesù invece è arrivato ed arriva come rivoluzionario, a scappottare la nostra immagine di un dio vincente. È debole Nostro Signore: non vince. È fragile: piange, muore. È povero: viene tradito, insultato, calunniato, condannato senza giustizia. È, oggi come allora, scandaloso il Vangelo”. “Scandaloso – prosegue – come un Papa ammalato, come noi quando ci scopriamo fragili e lontani dall’immagine perfetta che vorremmo e allora sentiamo lo scandalo di un dio che non è nostra immagine e somiglianza”.
L’arcivescovo auspica: “Che possiamo digiunare dalla presunzione di dire noi a Lui quello che deve fare. Che possiamo vivere l’elemosina come ricerca del bene dell’altro come legata a doppio filo al bene nostro. Che possiamo vivere la preghiera come soave silenzio che non giudica ma si fa abitare”.
E alla domanda: “Dove sei, Signore, mentre ci ammaliamo, abbiamo paura, perdiamo?”, il card. Battaglia risponde: “In te che soffrendo non sei più cieco ma vedi, in tuo fratello e in tua sorella che si prendono cura di te ed anche in tuo fratello e tua sorella che di te non si cura: perché proprio il deserto è il luogo in cui impariamo che l’Amore non è presa ma resa. E sarà Pasqua. Resurrezione, già adesso”.

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