Secondo l’Oms oltre 250 milioni di donne nel mondo hanno subito mutilazioni genitali, e il fenomeno è presente anche nel nostro Paese, dove si stima riguardi migliaia di donne tra cui minori. La maggior parte degli operatori sanitari italiani però considera inadeguata la propria formazione sul tema, e cade in errori e luoghi comuni, come quello secondo cui la pratica viene effettuata per motivi religiosi, quando invece non è prescritta da nessun credo. È quanto emerso da uno studio presentato durante un evento organizzato dall’Iss e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, in vista della giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (Mgf) che ricorre domani 6 febbraio.
“Questa pratica è purtroppo una realtà che ci riguarda anche da vicino. Il fenomeno non conosce confini e coinvolge circa 80mila donne, tra cui 7mila minori anche nel nostro paese, spesso invisibili nella loro sofferenza. Le mutilazioni genitali non sono solo una grave violazione dei diritti umani, ma anche un problema sanitario che richiede il nostro massimo impegno”, ha affermato il presidente dell’Iss Rocco Bellantone. Per Walter Malorni, direttore scientifico del Centro di ricerca in salute globale dell’Università Cattolica, “questo evento rappresenta un passo cruciale verso la costruzione di una rete nazionale che non solo diffonda consapevolezza, ma offra soluzioni concrete per la prevenzione e il trattamento delle conseguenze delle Mgf e che possa agire su tutto il territorio nazionale con la collaborazione della medicina territoriale e della Croce rossa. L’idea è di proporre al Dipartimento pari opportunità che si occupa attivamente della questione un Osservatorio nazionale e un’attività di formazione degli operatori sanitari inclusi i mediatori culturali e di comunicazione”.