“L’incontro con il dolore dell’altro è il primo colpo potente e irreversibile alla disumanizzazione”. Lo ha detto Maria Agnese Moro, giornalista e figlia di Aldo Moro, che ha descritto così la sua esperienza di giustizia riparativa, ora raccolta in un libro, “Il libro dell’incontro”. “Se provi dolore sei certamente umano, sei come me”, ha detto Moro intervenendo alla conferenza stampa di presentazione del messaggio del Papa per la pace. “Abbiamo un linguaggio che ci avvicina”, ha raccontato: “E’ la prima cosa di loro che mi ha colpito. Pensavo che il dolore fosse il mio, non avevo mai pensato al loro, che ho sentito tanto più intenso perché mai espresso come tale, ma sempre con frasi che gli scappavano di bocca dopo essere state a lungo trattenute. Potergli parlare è doloroso e bellissimo. Ogni mia parola li ferisce, ma riconosce la loro umanità. Siete capaci di ascoltarmi e di soffrire per me e con me. Ogni loro parola mi ferisce, ma riconosce la mia umanità. Sei capace di ascoltarci, di credere alle nostre intenzioni di bene di allora sfigurate dalla violenza utilizzata. E di soffrire per noi e con noi. L’ascolto vero è un reciproco riconoscimento di umanità. In questo dire e ascoltare c’è tutta la giustizia di cui noi e loro abbiamo bisogno per viere”. “I fantasmi li puoi odiare per sempre, le persone no”, ha proseguito Moro: “Non ce la fai. Ti appassioni alle loro vite difficili e al loro sforzo per risalire un abisso. Della onestà con cui guardano sé stessi senza abbellire o omettere nulla. E loro si appassionano alla mia vita difficile, e gli fa ancora più male quello che hanno fatto. Il nostro comune compagno di strada è l‘irreparabile. Noi per averlo subito, loro per averlo creato. È il nostro comune inferno. Ma ora lo portiamo insieme. Legati da un affetto e da un’amicizia che illumina di quiete le nostre vite sempre un po’ travagliate”. “Ci dicono che tutto questo è straordinario, un miracolo”, ha concluso: “In realtà è normale, siamo fatti per questo; siamo impastati di questo cercarci quando tutto ci allontana, a somiglianza di quel Padre che aspetta sulla torre di vedere comparire quel suo figlio discolo e irriconoscente per corrergli incontro appena lo scorge e abbracciarlo prima che abbia potuto dire una sola parola di scusa. Sì, caro Papa Leone, la pace c’è e silenziosamente lavora”.