“Diventare diaconi significa avere avuto un rapporto, un dialogo con Cristo, ma significa nello stesso tempo consegnarsi alla sua Parola e impegnarsi, per quello che è nelle nostre possibilità, a rimanere costantemente in ascolto di Lui che parla, ed essere a servizio di questo dialogo, che deve instaurarsi con tutte le donne e tutti gli uomini. Non si tratta di catturare la Parola, non si tratta di diventarne i padroni: si tratta di essere a servizio, perché ciascuno – ciascuno! – possa entrare in un dialogo intimo, unico, insostituibile con Cristo, che è la Parola eterna del Padre”. Lo ha affermato ieri il card. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, presiedendo nella cattedrale di S. Giovanni Battista la celebrazione eucaristica nel corso della quale ha ordinato diaconi Alessandro Malek Houari (permanente), Davide Midellino (permanente), Irvin Ottino (transeunte) e Stefano Sola (transeunte).
Commentando le letture proposte dalla liturgia, il porporato ha ricordato che Gesù mette in guardia i suoi discepoli che lo ascoltano dai falsi profeti, “persone che pretenderanno di parlare a nome di Cristo e di Dio senza essere dei profeti di Dio. Verrebbe da dire, dopo duemila anni di Cristianesimo, che è stata una profezia molto facile”. “Non c’è stagione della vita cristiana – ha proseguito – che non veda degli imbroglioni che, in un modo o in un altro, in maniera più o meno consapevole, hanno la pretesa di conoscere qualcosa di più profondo di ciò che Cristo stesso ha detto, e si ergono a profeti”. E poi “Gesù dice ai suoi discepoli, in maniera netta, quasi caustica, che devono prepararsi – nella misura in cui saranno dei discepoli suoi e degli annunciatori del Regno e quindi di Lui – devono prepararsi alle persecuzioni, all’odio, al rifiuto, non soltanto da coloro da cui se lo possono aspettare, ma addirittura tra gli intimi, i genitori, i fratelli, gli amici… Anche lì il discepolo sa di poter incorrere nella persecuzione, nel rifiuto, nell’odio, nell’astio”. Gesù – ha continuato – “avverte i suoi discepoli di ciò a cui vanno incontro, ma nello stesso tempo, in maniera più o meno esplicita, consegna loro anche quell’atteggiamento che sempre essi devono avere rispetto ai falsi profeti, alle grandi disgrazie, alle guerre e soprattutto di fronte alle persecuzioni”. “Degli atteggiamenti – ha commentato – che mi sembrano oggi particolarmente calzanti anche per voi – Malek, Davide, Irvin e Stefano – che ricevete il diaconato, perché forse possono essere una piccola bussola attraverso la quale orientare il vostro cammino cristiano e il vostro ministero”. “Rispetto ai falsi profeti, si tratta di mantenersi ancorati all’unica parola autentica, vera, che è la Parola di Cristo”, ha spiegato l’arcivescovo: “Non significa soltanto diventare dei conoscitori esperti della Scrittura – Dio volesse che diaconi e preti fossero sempre conoscitori esperti della Scrittura! – ma si tratta di rimanere in ascolto profondo di quella Parola del Verbo di Dio, che è la sorgente inesauribile di tutte le parole scritte nella Bibbia”. E poi “Gesù invita a non cedere alla paura e al terrore. E anche questo mi sembra un piccolo sentiero che, da diaconi, si può imboccare”. Inoltre, “rispetto alle persecuzioni, agli odi, alle resistenze che si trovano” Gesù invita a “non preparare la propria difesa, rinunciare a difendersi. E anche questa è una bussola per il vostro ministero”. “Gesù – ha evidenziato – dice di non seguire questo istinto, di non difenderci, ma di lasciare che sia Lui l’unico testimone, l’unico difensore. Perché? Perché questa sarà la vera testimonianza, questa sarà la testimonianza della fede autentica, della nostra consegna totale nelle mani di Dio”.