“La fine della cristianità non segna affatto la scomparsa della fede, ma il passaggio a un tempo in cui la fede non è più data per scontata dal contesto sociale, bensì è adesione personale e consapevole al Vangelo”. Ne è convinto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che aprendo l’assemblea generale dei vescovi italiani, in corso ad Assisi fino al 20 novembre, è partito dal “cambiamento d’epoca” denunciato da Papa Francesco: “la cristianità è finita”, cioè “la società non è naturalmente più cristiana, ma questo non deve spaventarci”. L’esempio citato è quello della società di Antiochia, al tempo della Chiesa nascente, quando “i credenti si sono impegnati di persona a portare e comunicare la loro esperienza di fede”. “Se quindi la cristianità è finita, non lo è affatto il cristianesimo: ciò che tramonta è un ordine di potere e di cultura, non la forza viva del Vangelo”, la tesi di Zuppi, secondo il quale “non dobbiamo avere paura ma rinnovare il nostro impegno a essere testimoni gioiosi del Risorto. Non dobbiamo diventare mediocri, spaventati, paurosi nella paternità e nell’assumerci responsabilità, ma più evangelici e cristiani!”. “Non temiamo, dunque, questo tempo, che sembra sottrarre spazio alla fede: forse è il contrario”, l’invito del presidente della Cei, sulla scorta di Paolo VI: “Il credente di oggi non è più il custode di un mondo cristiano, ma il pellegrino di una speranza che continua a farsi strada nei cuori”.