(dall’inviato in Terra Santa) – “Forse il farsi carne del Verbo, l’offrirsi a coloro che contemplano la sua gloria da parte del Figlio Unigenito in questa terra, in questo luogo santo, luogo fatto di terra e di pietra, luogo intenso di preghiera e di mistero, può essere come un rimprovero che ci sentiamo rivolgere. Celebriamo il mistero di Dio che si rende accessibile, anzi ci invita ad entrare, si rende abitabile e la sua gloria ci avvolge di luce. E ci rivolge un rimprovero: voi non entrate nel mistero”. Mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, ha iniziato così l’omelia nella messa celebrata oggi nella chiesa di Santa Caterina, nel complesso della Natività. Prosegue infatti a Betlemme il pellegrinaggio dei vescovi lombardi, con alcuni momenti di preghiera e liturgie, e ampio spazio dedicato a incontri con comunità e personalità locali. Nel pomeriggio, fra l’altro, la visita a Effatà, l’istituto voluto da Papa Paolo VI per i bambini e i giovani audiolesi.
“Quando celebrate siete tutti intenti a quello che dovete dire voi, come può raggiungervi lo Spirito di Dio, che è la grazia del celebrare?”, ha proseguito Delpini. “Come vi rende fuoco l’entrare nel fuoco? Come vi rende luce l’entrare nella luce? Come vi rende pane il nutrirvi di questo pane che è il corpo di Cristo? Come vi rende figli la comunione con il Figlio? Voi celebrate un rito, non un mistero; voi siete attenti alle cose e ai gesti che eseguono le rubriche, non vi lasciate condurre dai segni e dalle azioni fino a ‘toccare il Verbo della vita’. Una sorta di rassegnazione alla distrazione, cioè a guardare tutto eccetto l’essenziale, abita nel celebrare ordinario”.
L’arcivescovo di Milano, e metropolita, ha proseguito: “Come, dunque, possiamo accogliere il Verbo fatto carne? Abbiamo bisogno degli angeli dell’annunciazione. Tutti i preparativi dei secoli, tutte le intenzioni devote si rivelano sorpresi dalla manifestazione della gloria del Verbo nella mangiatoia di Betlemme di Giudea. I pastori ignari, forse ignari pure delle parole dei profeti, sono raggiunti da stupore e timore che annunciano la grande gioia. Anche i discepoli, familiari con il racconto e con le consuetudini, hanno bisogno dell’angelo della gloria che avvolge di luce. Il nostro angelo avrà forse la forma della fede semplice della gente, forse dello sconcerto di un evento, forse dei segni poveri che, qui o chi sa dove, cominciano a parlare”. “Abbiamo bisogno dell’attesa e dell’invocazione: ‘Vieni, Signore Gesù!’. Per coloro che non si aspettano nulla, spesso nulla avviene. Nella nostra intimità segreta abita una sete forse dimenticata, un desiderio forse estenuato dal tempo o dalla consuetudine. Siamo condotti in questo luogo povero e santo perché ci ferisca la domanda: io attendo qualche cosa? Io che cosa attendo? Qual è il desiderio della mia vita? Abbiamo bisogno di praticare il linguaggio del mistero. La carne del Verbo, la sua gloria, chiama a vivere, a pensare, a sentire; non soltanto a imparare e a istruire, a seguire riti e gesti. È, piuttosto, una trasfigurazione. È, piuttosto, una conformazione. Siamo chiamati a percorrere la via dell’incanto, del timore, della commozione, del sentire, del toccare, del contemplare”.