“La guerra è alimentata dal continuo proliferare di armi sempre più sofisticate e distruttive”. Lo ribadisce il Papa nel discorso al Corpo diplomatico, letto per la quasi totalità da mons. Ciampanelli, in cui rinnova l’appello affinché “con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa”. “La guerra è sempre un fallimento!”, esclama Francesco: “Il coinvolgimento dei civili, soprattutto bambini, e la distruzione delle infrastrutture non sono solo una disfatta, ma equivalgono a lasciare che tra i due contendenti l’unico a vincere sia il male”. “Non possiamo minimamente accettare che si bombardi la popolazione civile o si attacchino infrastrutture necessarie alla sua sopravvivenza”, tuona il Papa: “Non possiamo accettare di vedere bambini morire di freddo perché sono stati distrutti ospedali o è stata colpita la rete energetica di un Paese”. L’auspicio è che “quest’anno giubilare sia un tempo propizio in cui la Comunità internazionale si adoperi attivamente affinché i diritti inviolabili dell’uomo non siano sacrificati a fronte di esigenze militari” e che “si continui a lavorare affinché l’inosservanza del diritto internazionale umanitario non sia più un’opzione, negli ancora troppi teatri di guerra aperti”. Tra questi, Bergoglio cita i diversi conflitti nel continente africano, a cui si aggiungono gli effetti devastanti delle inondazioni e della siccità, e la situazione in cui versano Paesi come il Myanmar, Haiti, il Venezuela, la Bolivia, il Nicaragua. Per il Papa, “la prospettiva di una diplomazia del perdono non è però chiamata solo a sanare i conflitti internazionali o regionali”: “Essa investe ciascuno della responsabilità di farsi artigiano di pace, perché si possano edificare società realmente pacifiche, in cui le legittime differenze politiche, ma anche sociali, culturali, etniche e religiose costituiscano una ricchezza e non una sorgente di odio e divisione”.