Accoglienza ucraini in Italia. Pallucchi (Forum Terzo settore): “Servono regole chiare e condivise”

Nuove norme per l'accoglienza dei profughi ucraini in Italia. Finora ne sono arrivati quasi 50.000, soprattutto donne e bambini. Il Viminale ha ampliato la rete dei servizi di accoglienza ma la maggior parte sono ancora ospitati da parenti e amici. In caso di flussi maggiori le organizzazioni del terzo settore chiedono "procedure chiare e definite, un’accoglienza diffusa nei territori, protocolli per tutelare i minori non accompagnati e monitorare le famiglie se riceveranno fondi per ospitare i profughi". Intervista a Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo settore.

(Foto ANSA/SIR)

“Il terzo settore è in prima linea nell’accoglienza dei profughi ucraini ma vogliamo un quadro giuridico, finanziario e procedurale chiaro e definito, in cui siano ben definiti il nostro ruolo e quello del settore pubblico, per permetterci di operare nel miglior modo possibile”. Lo ribadisce al Sir la portavoce del Forum del Terzo settore Vanessa Pallucchi, commentando i nuovi interventi normativi del governo italiano legati alla gestione dell’accoglienza dei profughi provenienti dall’Ucraina. In particolare, viene autorizzata l’attivazione di 3.000 posti aggiuntivi nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), ossia i centri progettati dalla rete degli enti locali (la cosiddetta seconda accoglienza), per i cittadini ucraini. Si vanno ad aggiungere agli 8.000 posti per l’accoglienza già messi a disposizione dal Viminale. Ad oggi sono circa 2.400 gli ucraini ospitati nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e nei Sai sui 47.153 arrivati finora in Italia, di cui 24.032 donne, 4.052 uomini e 19.069 minori. La maggior parte hanno trovato riparo presso familiari o amici. Il governo annuncia inoltre 500mila euro a ogni Regione per le spese. Le organizzazioni del terzo settore chiedono, tra l’altro, “un’accoglienza diffusa nei territori e procedure chiare per tutelare i minori non accompagnati e monitorare le famiglie che ricevono fondi per ospitare i profughi”.

Cosa chiedete al governo per fronteggiare questa emergenza umanitaria?
Si profilano tante tipologie di rifugiati: famiglie con bambini, soprattutto donne e nonne con bambini, disabili, minori non accompagnati. Chiediamo procedure molto chiare e definite. Servono coordinamenti con tutti gli attori, sia a livello nazionale sia di prossimità, con il ruolo centrale di regioni e comuni, in modo che i soggetti possano dare risposte ai bisogni. Ovviamente noi siamo per una accoglienza diffusa e di qualità, quindi gruppi da distribuire in strutture sui territori. Eviteremmo il più possibile strutture collettive molto grandi, tipo i centri di prima accoglienza.

Molte organizzazioni del terzo settore stanno già svolgendo un grande lavoro di accoglienza.

Il terzo settore già c’è, sia all’estero sia qui. In queste prime ore stiamo facendo fronte noi con il buon senso ma se dobbiamo dare una risposta organica come Paese va costruito un sistema di accoglienza diffusa, mettendo in piedi anche una governance condivisa e procedure chiare e trasparenti, per riuscire a lavorare nel miglior modo possibile”.

Vi aspettate un grande afflusso di profughi?

La verità è che non ci sono cifre o previsioni. La Protezione civile sta lavorando in tal senso ma non sappiamo come le persone si muoveranno e quali saranno i flussi che arriveranno in Italia. L’Europa, rispetto a questa emergenza umanitaria, dovrebbe regolare anche i flussi nei diversi Paesi. Noi nella maggior parte dei casi abbiamo accolto in Italia chi aveva già un punto di riferimento come parenti o amici, visto che eravamo già il Paese con la maggiore presenza della diaspora ucraina. Se adesso arriveranno persone che non hanno nessuno, la risposta deve essere pubblica. L’Italia è già allenata ad una accoglienza di massa, sarebbe il caso che anche negli altri Paesi europei si lavorasse per una accoglienza condivisa. In Polonia, ad esempio, stanno facendo un buon servizio di prima accoglienza ma con l’obiettivo di smistarli in altri Paesi perché non ce la fanno.

Come vi state coordinando con le istituzioni per questa emergenza?

Partecipiamo ad un Tavolo con il Ministero del Lavoro che coordina il Consiglio nazionale del terzo settore e tramite il Consiglio abbiamo messo in piedi un tavolo con la Protezione civile. Ci riuniamo una o due volte a settimana e stiamo condividendo una serie di procedure.

Abbiamo fatto alcune richieste perché il terzo settore possa operare nella tranquillità, con efficacia e nella garanzia di una accoglienza dignitosa delle persone. Ora attendiamo risposte.

Tra i profughi ucraini vi sono migliaia di bambini, molti senza genitori. A fronte di una grande disponibilità all’accoglienza da parte di famiglie e organizzazioni italiane, quali cautele adottare?

Qui bisogna operare con criteri molto controllati, perché è un tema molto delicato. Il minore deve essere tutelato. Non a caso è stato eletto un Commissario apposito. Nelle associazioni e organizzazioni religiose che già accolgono, ad esempio, si pone il problema se porre deroghe per far entrare nuovi bambini. Le organizzazioni sono pronte e hanno già dato risposte nelle prime forme di accoglienza. Ma se aspettiamo flussi maggiori di ucraini bisogna mettere in piedi una organizzazione che garantisca anche la tenuta sociale del nostro Paese, in comunità già provate da crisi. Il rischio che si rompano le reti sociali e si creino lotte tra ultimi e penultimi c’è.

Cosa pensate della proposta governativa di assegnare fondi alle famiglie che ospitano profughi ucraini, tramite il filtro del terzo settore?

Bisogna domandarsi se è un ruolo che si riesce a svolgere. Dipende dall’entità numerica dei flussi.

Va bene le somme alle famiglie, a patto che ci siano protocolli molto chiari per controllare le famiglie: per quanto tempo, la tipologia di famiglie, il monitoraggio.

Poi bisogna fare una operazione di integrazione, l’istruzione per i bambini, e un lavoro di supporto anche al mondo della scuola. Comunque bisogna mettere in piedi un sistema di co-governo perché non si può poggiare tutto sulla sola gamba del terzo settore: devono essere tante le gambe.

Nell’interlocuzione con le istituzioni vi sentite ascoltati?

Si lavora molto ai tavoli di regia ma c’è il timore che nei territori italiani non tutti avranno le stesse condizioni. Serve un lavoro di co-progettazione, ad esempio mettendo in rete più realtà, usando reti associative più grandi. Ma bisogna dare connotazioni ben precise per garantire un’accoglienza dignitosa.

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